Perchè la crisi | Page 18

15 “Perché la crisi” l‟economia nazionale non avrebbe avuto alcun beneficio: l‟occupazione, di contro alle perentorie affermazioni di tutti i mezzi di comunicazione, veri imbonitori, divenuti all‟improvviso scienziati in economia (la stampa libera!), non sarebbe di certo aumentata. E così fu!... E così oggi ci chiediamo: anche questa volta il Governo vuole regalare ai grossi imprenditori ricchezza nazionale da “esportare”?... Quest‟accanimento nel perseguire una politica economica monetarista e liberticida, infatti, potrebbe indicare non solo la celata consapevolezza dell‟impossibilità di risolvere la crisi, ma, la coscienza recondita che la situazione sarà destinata a perdurare e ad aggravarsi. La volontà, pertanto, di concedere “carta bianca” a quegl‟imprenditori che per propria utilità continuano a mantenere le loro imprese o alcune delle loro imprese nel territorio nazionale (un minimo di produzione deve pur esistere; altrimenti, non ci può essere mercato), può essere un “dare” per ottenere, a sua volta, “altri benefici” (do ut des!)? Se si ragiona, infatti, con i termini dello spot pubblicitario governativo, secondo il quale il cittadino che evade le tasse ruba alla collettività, e si considera che rappresentanti di punta della Confindustria (ad esempio, in questa benedetta trattativa sulla modifica delle norme che regolano il lavoro subordinato) sono persone che hanno goduto del cosiddetto “scudo fiscale” (27)… E se pare che sia così, sorgono spontanee delle riflessioni. Le variabili del sistema economico-finanziario sono talmente tante da rendere praticamente impossibile ogni previsione? Ed esse cambiano così velocemente da non essere perfino identificate, studiate? È oramai assodato che il benessere dei paesi industrializzati si basa in buona parte sullo sfruttamento dei paesi del cosiddetto “Terzo mondo”: eppure, lo sviluppo di queste nazioni, sostenuto da un sistema produttivo e commerciale e finanziario propri, tornerebbe di giovamento a tutti i popoli della Terra. Quanto scritto, però, lascia comprendere il perché ci si limita ad elargire a questi paesi misere elemosine e non si adottano, invece, misure che li aiutino ad essere realmente autonomi e autosufficienti; anzi, s'invia da loro il Grande Capitale a farla da padrone (28). I paesi poveri devono restare poveri! La loro esistenza, oltre 27 Coloro che, evadendo le tasse e le leggi sui capitali illegalmente trattenuti o portati all‟estero, nel momento stesso in cui hanno pagato il 5% anziché la cifra ben più alta originariamente dovuta, facendo rientrare in Patria le somme occultate al fisco, implicitamente hanno ammesso di avere derubato lo Stato. Come logica vuole. 28 A riguardo, può riuscire utile lo studio di W. Leontiev: “La spesa militare” (ed. Mondadori). Il premio Nobel per l‟economia dimostra con le sue matrici (è matematica, non argomentazione politica!) che se venissero azzerate in tutto il mondo le spese militari, l’economia dei paesi in via di sviluppo avrebbe una crescita annua tra il 18% e il 20% circa e l’economia dei paesi industrializzati intorno al 10% circa, se non ricordo male. Il tempo di una generazione e a livello mondiale ci sarebbe una più equa redistribuzione della ricchezza, senza più distinzione tra nazioni ricche e nazioni povere. Stranamente, questo libro, la cui importanza scientifica e culturale e politica è enorme, è Nino Marchese