Scuola pitagorica - Wikipedia
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Poiché i pitagorici erano sostenitori delle teorie orfiche dell’immortalità dell’anima e della metempsicosi, ritenevano che per mantenerla pura e
incontaminata occorresse svolgere delle pratiche ascetiche, sia spirituali che fisiche.
Tra queste, solitarie passeggiate mattutine e serali, cura del corpo ed esercizi quali corsa, lotta, ginnastica e diete costituite da cibi semplici e che
abolivano anche l’assunzione di vino.
È celeberrima l'idiosincrasia di Pitagora e della sua Scuola per le fave: non solo si guardavano bene dal mangiarne, ma evitavano accuratamente
ogni tipo di contatto con questa pianta. Secondo la leggenda, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone di Crotone, preferì farsi raggiungere
ed uccidere piuttosto che mettersi in salvo attraverso un campo di fave.[3]
Una comunità tribalistica
Secondo Karl Popper [4] la setta pitagorica aveva caratteristiche tribalistiche che si evidenziavano nella prescrizione e osservanza di dogmi e tabù
tipici della mentalità di questi gruppi esclusivisti.
A questo proposito John Burnet[5], nella sua opera Early Greek Philosophy (http://www.classicpersuasion.org/pw/burnet/egp.htm?chapter=2#44) ,
riprendendolo dal Diels[6] indica un elenco di quindici tabù[7] «di tipo assolutamente primitivo» imposti da Pitagora che per questo diviene un
personaggio a metà tra il filosofo e lo sciamano[8]:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
Astieniti dalle fave
Non raccogliere ciò che è caduto
Non toccare un gallo bianco
Non spezzare il pane
Non scavalcare le travi
Non attizzare il fuoco con il ferro
Non addentare una pagnotta intera
Non strappare le ghirlande
Non sederti su di un boccale
Non mangiare il cuore
Non camminare sulle strade maestre
Non permettere alle rondini di dividersi il tuo tetto
Quando togli dal fuoco la pignatta non lasciare la sua traccia nelle ceneri, ma rimescolale
Non guardare in uno specchio accanto ad un lume
Quando ti sfili dalle coperte, arrotolale e spiana l'impronta del corpo.
(«Si noti come la regola 4 non possa logicamente coesistere con la 7.» [9]
L'aritmogeometria
Tra le pratiche per la purificazione del corpo e dell'anima i pitagorici privilegiavano la musica che li portò a scoprire il rapporto numerico alla base
dell'altezza dei suoni che, secondo la leggenda, Pitagora trovò riempiendo con dell’acqua un’anfora che percossa emanava una nota, poi togliendo
una parte ben definita dell'acqua, otteneva un’altra nota maggiore di un'ottava.
È probabile che proprio da queste esperienze musicali nacque nei pitagorici l'interesse per l'aritmetica concepita come una teoria dei numeri interi
che essi ritenevano non un'entità astratta bensì concreta; i numeri venivano visti come grandezze spaziali, aventi una stessa estensione e forma ed
erano infatti rappresentati geometricamente e spazialmente (l'uno era il punto, il due la linea, il tre la superficie, il quattro il solido.)
Pitagora formulò inoltre l'importante teoria della tetraktys.[10] Etimologicamente il termine significhe