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“Perché la crisi”
della disoccupazione, ovverossia diminuzione dell'occupazione e minore reddito
sia per le famiglie interessate che per lo Stato (minori tasse dirette e indirette).
Minore reddito per le famiglie significa minore spesa di queste e minori introiti
nella casse statali significa una minore spesa pubblica: quindi, in generale,
contrazione della produzione. Conseguente riduzione del commercio e dei
servizi, parimenti. – (12) – E‟ vero, pure, che il dato imprenditore corre il rischio di
vedere diminuito il suo volume di affari nel proprio paese di provenienza: ma, a
fronte di ciò, ha un guadagno medio più elevato su ogni singolo prodotto e un
mercato più esteso. In ogni caso, controlla meglio il processo produttivo,
riducendo all‟osso il costo di produzione del dato bene. Se questo, poi, comporta
una vita difficile, insopportabile per gl‟impiegati e gli operai, fino al punto da
determinare tra costoro alti tassi di suicidi, all‟imprenditore non importa.
Non finisce qua, però. Sempre lo stesso industriale importa nel suo paese
“A” la merce prodotta in “B” (magari, semilavorata): e così, altra ricchezza che
da “A” si sposta in “B”!
Ancora. La merce da “B” arriva in “A” a prezzi fortemente concorrenziali:
fiaccando la resistenza di quegli imprenditori che per motivi vari sono rimasti a
produrre in patria (paese “A”). E questi, chiaramente danneggiati, invocando
misure legislative contro la “concorrenza sleale”, chiedono al proprio Governo
nazionale aiuti economici (proprio per poter sostenere la concorrenza dei
prodotti in arrivo dal paese “B”)!
È quello che sta avvenendo in Italia! E
inquadrare la richiesta, da parte delle varie
commerciali, di ridurre la spesa pubblica. E
soppressione dei diritti sindacali, dei lavoratori
favoletta misera il sostenere che una semplice
lavoro è condizione necessaria e sufficiente ad
vuole ben altro!...).
12
in tale contesto è, pure, da
confederazioni industriali e
soprattutto, la limitazione o
(è, come dimostreremo, una
modifica della normativa sul
attrarre capitali stranieri!... ci
E non si può argomentare che quelli espatriati sono sempre capitali nazionali del dato
paese “A” (forse, solo formalmente; di fatto, no!), pur se investiti nel paese “B”: l'imprenditore
non è così fesso da fare rientrare i capitali o tutti gli utili da questi prodotti (e lo Stato “A” non ha
i mezzi per effettuare accertamenti) e reinvestirli in “A” : tutt'al più, reinvestirà in “B” o in altri
paesi ancora più convenienti (e non ha senso pensare diversamente: altrimenti, l'industriale
non avrebbe preferito delocalizzare le proprie imprese nel paese “B”).
Nino Marchese