Perchè la crisi | Page 10

7 “Perché la crisi” della disoccupazione, ovverossia diminuzione dell'occupazione e minore reddito sia per le famiglie interessate che per lo Stato (minori tasse dirette e indirette). Minore reddito per le famiglie significa minore spesa di queste e minori introiti nella casse statali significa una minore spesa pubblica: quindi, in generale, contrazione della produzione. Conseguente riduzione del commercio e dei servizi, parimenti. – (12) – E‟ vero, pure, che il dato imprenditore corre il rischio di vedere diminuito il suo volume di affari nel proprio paese di provenienza: ma, a fronte di ciò, ha un guadagno medio più elevato su ogni singolo prodotto e un mercato più esteso. In ogni caso, controlla meglio il processo produttivo, riducendo all‟osso il costo di produzione del dato bene. Se questo, poi, comporta una vita difficile, insopportabile per gl‟impiegati e gli operai, fino al punto da determinare tra costoro alti tassi di suicidi, all‟imprenditore non importa. Non finisce qua, però. Sempre lo stesso industriale importa nel suo paese “A” la merce prodotta in “B” (magari, semilavorata): e così, altra ricchezza che da “A” si sposta in “B”! Ancora. La merce da “B” arriva in “A” a prezzi fortemente concorrenziali: fiaccando la resistenza di quegli imprenditori che per motivi vari sono rimasti a produrre in patria (paese “A”). E questi, chiaramente danneggiati, invocando misure legislative contro la “concorrenza sleale”, chiedono al proprio Governo nazionale aiuti economici (proprio per poter sostenere la concorrenza dei prodotti in arrivo dal paese “B”)! È quello che sta avvenendo in Italia! E inquadrare la richiesta, da parte delle varie commerciali, di ridurre la spesa pubblica. E soppressione dei diritti sindacali, dei lavoratori favoletta misera il sostenere che una semplice lavoro è condizione necessaria e sufficiente ad vuole ben altro!...). 12 in tale contesto è, pure, da confederazioni industriali e soprattutto, la limitazione o (è, come dimostreremo, una modifica della normativa sul attrarre capitali stranieri!... ci E non si può argomentare che quelli espatriati sono sempre capitali nazionali del dato paese “A” (forse, solo formalmente; di fatto, no!), pur se investiti nel paese “B”: l'imprenditore non è così fesso da fare rientrare i capitali o tutti gli utili da questi prodotti (e lo Stato “A” non ha i mezzi per effettuare accertamenti) e reinvestirli in “A” : tutt'al più, reinvestirà in “B” o in altri paesi ancora più convenienti (e non ha senso pensare diversamente: altrimenti, l'industriale non avrebbe preferito delocalizzare le proprie imprese nel paese “B”). Nino Marchese