Management l’ enorme potenziale produttivo low cost dell’ Impero di mezzo come un’ opportunità irripetibile, tuttavia non comprendendo appieno fin dove essa potesse evolversi. Negli anni successivi alla caduta sovietica l’ entusiasmo, ricordo, era alle stelle: le Borse volavano e cadevano con alti e bassi vertiginosi, le fabbriche delocalizzavano in tutta l’ Asia creando disoccupazione nell’ intero Occidente ma l’ euforia per avere trovato una massa gigantesca di nuovi clienti bisognosi di tutto e il modo di ridurre verticalmente i costi facendo impennare i profitti spingeva gli investitori ad accelerare il processo di globalizzazione; fin che la profonda crisi del 2008 iniziò a fare scricchiolare tutte le certezze che avevano accompagnato un intero ventennio.
Gli strumenti del globalismo
Gli strumenti del globalismo non si limitano solo a questioni geografiche ma necessitano di efficienze di processo che rendano interscambiabili i componenti di un determinato prodotto in una sorta di fordismo su scala globale. Ogni componente di ogni manufatto deve essere uguale in ogni mercato, ogni mercato si deve uniformare allo stesso sistema produttivo e quindi ogni cliente deve avere idealmente in ogni angolo del mondo le stesse esigenze, gli stessi desideri e le stesse aspirazioni. Non importa se tra un cinese e un europeo o un americano ci sono stati secoli di differenziazioni culturali e storiche: l’ uomo nuovo, come disse Barack Obama,“ non ha un passato, ha solo un futuro” perché è solo in questo modo che riesce a diventare il cliente ideale e solo su questo percorso il globalismo può raggiungere la sua massima aspirazione di creare la più alta efficienza possibile. Intendiamoci, managerialmente parlando il discorso non fa una piega: gli imprenditori e le loro organizzazioni sono tenuti a massimizzare i risultati con i mezzi legali che vengono forniti loro sia dalla propria azienda sia dall’ impianto legislativo in cui operano; semmai sono gli
Grafico 1( Fonte: Corriere della Sera)
statisti e i loro legislatori che hanno peccato di scarsa visione prospettica, mal suggeriti da un lato da una sempre maggiore bulimia dei risultati elettorali( e forse anche altro), dall’ altro da economisti che visti i risultati ottenuti non hanno valutato tutte le conseguenze socioeconomiche delle loro astrazioni teoriche. In pratica la globalizzazione ha prodotto certamente efficienze nelle filiere produttive ma ha anche spostato enormi masse di ricchezza non solo da ovest verso est ma nelle società occidentali, ha generato un’ immensa concentrazione di denaro tale da permettere ad alcune delle corporation di possedere una capitalizzazione che supera in molti casi il prodotto interno lordo di vari Paesi con milioni di abitanti. Il denaro è potere: perché quindi ci meravigliamo che esso non condizioni la politica e le sue decisioni? Questi fenomeni economici appena descritti, congiuntamente ad una rivolta morale di intere fasce sociali a cui sono state rubate tradizioni e attitudini culturali, hanno creato il nuovo disordine mondiale a cui stiamo assistendo che non è altro che la presa d’ atto del fallimento del globalismo.
L’ auto globalizzata, anzi no, contrordine
Tra i settori che probabilmente hanno subito i più forti effetti della globalizzazione c’ è certamente l’ automotive. Paradossalmente la storia dell’ auto è stata sempre contrassegnata da localismi molto accentuati: ogni grande Paese occidentale possedeva uno o più marchi che contraddistinguevano i gusti degli automobilisti autoctoni e ogni governo se ne guardava bene di favorire aperture che mettessero a rischio i propri costruttori, tanto che quasi ogni Paese aveva costruttori che detenevano quote largamente maggioritarie di vetture locali che dominavano lo scenario urbano. Era singolare come viaggiando in Europa o negli Stati Uniti si scoprissero marchi e modelli mai visti nel proprio Paese come se davvero si fosse capitati in un altro mondo. Negli scorsi trent’ anni abbiamo invece imparato che senza una presenza globale le Case auto fanno fatica a sopravvivere e di conseguenza attraverso un rapido consolidamento dei vari marchi si è giunti ad imporre gli stessi modelli su scala mondiale. La componentistica ha dovuto
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