My first Publication Sottosopra numero 3 | Page 8

L’INGANNO DELLA GREEN ECONOMY Sono anni ormai che sentiamo parlare di Green Economy, nei summit mondiali ed eu- ropei, dai partiti sia di destra sia di sinistra e dai sindacati come CGIL, CISL, UIL che solo ora sembrano essersi accorti della devas- tante crisi ambientale in cui ci troviamo. La Green Economy, l’economia verde ci viene presentata come un modello di sviluppo eco- nomico che evita i danni ambientali, che è attento al sociale e che quindi ridurrà dras- ticamente la disoccupazione e la precarietà. Tuttavia, il sistema economico nel quale vivia- mo è il sistema capitalistico, quindi nell’econo- mia verde i rapporti sociali di produzione e il fine della produzione (il profitto) è sempre lo stesso. Per questo, il miracolo occupazionale che viene sbandierato è pura fuffa. Allora, se proviamo a guardare la realtà, al di là delle lenti ideologiche che ci vengono proposte, la Green Economy si rivela per quel- lo che è: un tentativo del sistema economico capitalistico di innovarsi, di fare profitto cer- cando di uscire dalla crisi economica iniziata ormai nel 2008 e che non accenna a fermarsi. Quanti ai danni ambientali, la Green Economy di sicuro non li diminuirà. Pensiamo a come viene giustificato l’uso dei trasgenici adatta- bili a siccità e pesticidi sotto il nome di “ag- ricoltura climaticamente intelligente” oppure pensiamo alla restrizione dell’uso dell’acqua: il risultato è quello di irrigare solo le coltivazi- oni “più ad alto valore” quindi quelle per l’es- portazione e lasciar morire le altre. Pensia- mo anche ai crediti relativi al carbonio o al bonus per la biodiversità: in sostanza basta che le grandi aziende paghino qualcuno che preserva la biodiversità in qualche angolo del pianeta e possono tranquillamente inquinare dove gli interessa. Gli esempi sono ancora moltissimi. I danni ambientali non vanno scissi dai danni umani che la Green Economy provoca. Le co- siddette aziende green sono tra quelle in cui la flessibilità ossia la precarietà del lavoratore è più alta; d’altra parte si tratta di un’innovazi- one per permettere al capitale di accumulare, quindi anche un’innovazione nello sfrutta- mento. Do you remember i riders di Foodora, Deliveroo o Just Eat? Quei fattorini che gua- dagnano 4 euro l’ora e ogni tanto rischiano la vita perché senza alcuna assicurazione? Sotto la narrazione del lavoro smart, da stu- denti, green ecc si nasconde una condizione lavorativa da ‘800. C’è ancora un altro elemento da prendere in considerazione. L’ambientalismo sbandierato dalle nostre istituzioni, dall’Unione Europea in primis, diventa in realtà una pratica di colo 8 nialismo dei paesi del sud del mondo: dalle monoculture in America Latina e in Africa utili per l’esportazione nei paesi occidenta- li fino alla privatizzazione di enormi aree in mano ai monopoli dell’agricoltura e sottratte alle popolazioni indigene che vivono in es- trema povertà senza mezzi di sussisten- za e salari dignitosi. Come ha detto il pres- idente della Bolivia Evo Morales alcuni anni fa alla Conferenza sullo Sviluppo Sosteni- bile (UNCSD): “L’ambientalismo dell’econo- mia verde è il nuovo colonialismo per sot- tomettere i popoli e i governi anticapitalisti”. A conferma di questo ricordo la devastazi- one della foresta amazzonica perpetrata in Brasile sotto il tacito consenso del governo di estrema destra di Bolsonaro a favore delle grandi multinazionali che hanno l’obiettivo di creare enormi distese di colture utili all’espor- tazione bruciando milioni di alberi. Se guardiamo ai fatti e non alle belle parole sbandierate sui mass media, chi si illude che la Green Economy sia la vera soluzione alla crisi ambientale e climatica o è un ingenuo o è in cattiva fede. Chiedere ai responsabili della devastazione ambientale di invertire la rotta è inutile. Fermare la crisi ambientale è possibile, ma soltanto se la lotta per il clima si coniuga con la lotta contro il modello di produzione capi- talistico. Mirta Parra