L’INGANNO DELLA GREEN ECONOMY
Sono anni ormai che sentiamo parlare di
Green Economy, nei summit mondiali ed eu-
ropei, dai partiti sia di destra sia di sinistra e
dai sindacati come CGIL, CISL, UIL che solo
ora sembrano essersi accorti della devas-
tante crisi ambientale in cui ci troviamo. La
Green Economy, l’economia verde ci viene
presentata come un modello di sviluppo eco-
nomico che evita i danni ambientali, che è
attento al sociale e che quindi ridurrà dras-
ticamente la disoccupazione e la precarietà.
Tuttavia, il sistema economico nel quale vivia-
mo è il sistema capitalistico, quindi nell’econo-
mia verde i rapporti sociali di produzione e il
fine della produzione (il profitto) è sempre lo
stesso. Per questo, il miracolo occupazionale
che viene sbandierato è pura fuffa.
Allora, se proviamo a guardare la realtà, al
di là delle lenti ideologiche che ci vengono
proposte, la Green Economy si rivela per quel-
lo che è: un tentativo del sistema economico
capitalistico di innovarsi, di fare profitto cer-
cando di uscire dalla crisi economica iniziata
ormai nel 2008 e che non accenna a fermarsi.
Quanti ai danni ambientali, la Green Economy
di sicuro non li diminuirà. Pensiamo a come
viene giustificato l’uso dei trasgenici adatta-
bili a siccità e pesticidi sotto il nome di “ag-
ricoltura climaticamente intelligente” oppure
pensiamo alla restrizione dell’uso dell’acqua:
il risultato è quello di irrigare solo le coltivazi-
oni “più ad alto valore” quindi quelle per l’es-
portazione e lasciar morire le altre. Pensia-
mo anche ai crediti relativi al carbonio o al
bonus per la biodiversità: in sostanza basta
che le grandi aziende paghino qualcuno che
preserva la biodiversità in qualche angolo del
pianeta e possono tranquillamente inquinare
dove gli interessa. Gli esempi sono ancora
moltissimi.
I danni ambientali non vanno scissi dai danni
umani che la Green Economy provoca. Le co-
siddette aziende green sono tra quelle in cui
la flessibilità ossia la precarietà del lavoratore
è più alta; d’altra parte si tratta di un’innovazi-
one per permettere al capitale di accumulare,
quindi anche un’innovazione nello sfrutta-
mento. Do you remember i riders di Foodora,
Deliveroo o Just Eat? Quei fattorini che gua-
dagnano 4 euro l’ora e ogni tanto rischiano
la vita perché senza alcuna assicurazione?
Sotto la narrazione del lavoro smart, da stu-
denti, green ecc si nasconde una condizione
lavorativa da ‘800.
C’è ancora un altro elemento da prendere in
considerazione. L’ambientalismo sbandierato
dalle nostre istituzioni, dall’Unione Europea in
primis, diventa in realtà una pratica di colo
8
nialismo dei paesi del sud del mondo: dalle
monoculture in America Latina e in Africa
utili per l’esportazione nei paesi occidenta-
li fino alla privatizzazione di enormi aree in
mano ai monopoli dell’agricoltura e sottratte
alle popolazioni indigene che vivono in es-
trema povertà senza mezzi di sussisten-
za e salari dignitosi. Come ha detto il pres-
idente della Bolivia Evo Morales alcuni anni
fa alla Conferenza sullo Sviluppo Sosteni-
bile (UNCSD): “L’ambientalismo dell’econo-
mia verde è il nuovo colonialismo per sot-
tomettere i popoli e i governi anticapitalisti”.
A conferma di questo ricordo la devastazi-
one della foresta amazzonica perpetrata in
Brasile sotto il tacito consenso del governo
di estrema destra di Bolsonaro a favore delle
grandi multinazionali che hanno l’obiettivo di
creare enormi distese di colture utili all’espor-
tazione bruciando milioni di alberi.
Se guardiamo ai fatti e non alle belle parole
sbandierate sui mass media, chi si illude che
la Green Economy sia la vera soluzione alla
crisi ambientale e climatica o è un ingenuo o
è in cattiva fede.
Chiedere ai responsabili della devastazione
ambientale di invertire la rotta è inutile.
Fermare la crisi ambientale è possibile, ma
soltanto se la lotta per il clima si coniuga con
la lotta contro il modello di produzione capi-
talistico.
Mirta Parra