ha permesso l’attivazione e il coinvolgimento
di così tante persone?
“Non abbiamo mai programmato questa lot-
ta a tavolino, la lotta è nata nella realtà, nei
momenti del bisogno, andando avanti giorno
dopo giorno e cercando di adattarsi a quelli
che erano i bisogni del momento.
Non è stata la prima lotta ambientale della
valle, le altre però forse delegavano un po’
troppo. Forse l’unica che non aveva delegato
era quella contro il maxielettrodotto che vole-
vano costruire e che poi non hanno costruito
proprio perché avevamo messo in piedi una
lotta popolare come questa, anche se più cir-
coscritta chiaramente. Noi abbiamo capito
che intanto non si poteva aspettare dall’alto
la difesa di quei diritti della vita di tutti e che
spettava soltanto a noi, a chi la vita la vive-
va. Quindi non delegare, perché non abbia-
mo paura, non pensare che la legge abbia
sempre ragione perché la legge è ritagliata
addosso a chi comanda, e se chi comanda
è ingiusto quella legge non può che essere
oppressiva e certo non capace di migliorare il
mondo; e poi la forza sicuramente, l’entusias-
mo, il non scoraggiarsi. La prima manifestazi-
one che avevamo fatto a Bussoleno contro
la chiusura del polo ferroviario, che era paral-
lelo a quella lotta, l’abbiamo fatta in dieci. Al-
lora se noi ci fossimo fermati lì, nulla sarebbe
nato, e invece erano solo dieci di tante realtà
che stavano germogliando nel profondo del-
la terra, perché era necessario, perché se si
vive male, se si vede che i servizi di cui si ha
bisogno non ci sono, che la povertà aumenta,
se vedi che hai bisogno di qualcosa e invece
ti vogliono dare l’esatto opposto, non tutti si
adeguano. E allora saper intercettare i bisog-
ni è stato fondamentale.
L’altra cosa che è stata fondamentale è sta-
ta far conoscere cosa sarebbe stato il Tav,
cominciando a contraddire le bugie di chi lo
voleva costruire, di questo potere, che poi
all’inizio era anche il potere economico del-
la FIAT, perché il primo general contractor
dell’alta velocità nell’Italia del nord era stata
la FIAT che aveva devastato già con la mac-
chinetta privata , con la fine di tutti i servizi
pubblici e che voleva fare anche con i treni
quello che aveva fatto con le autostrade. Non
dimentichiamo che proprio in quegli anni le
ferrovie dello Stato erano state privatizzate.
E la privatizzazione aveva voluto dire taglio
delle corse pendolari, chiusura delle stazioni,
e a Bussoleno la chiusura del polo ferroviar-
io che dava lavoro a 1500 ferrovieri. Quindi
insomma c’erano dei dati reali che se si met-
tevano in rilievo trovavano consenso per la
lotta.
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Sapere cosa volevano costruire, informarsi
anche a fondo, è stato fondamentale. Difatti
noi abbiamo avuto la fortuna di avere dal-
la nostra parte due professori del Politecnico
di Torino che era l’incubatoio del Tav, perché
sono le strutture pubbliche e le università i
loro centri studio; con la scuola che è sempre
più legata alla carità del privato basta che le
diano un contentino. E allora tra tanti che in-
vece preparavano i progetti del Tav, due si
sono rifiutati di farlo e ci hanno raccontato
qual era il vero senso di quest’opera, cosa
avrebbero fatto. Allora anche in questo sen-
so, noi non abbiamo delegato, abbiamo in-
formato tutti anche a livello tecnico oltre che
politico su cosa sarebbe stata quest’opera
ma anche cos’è quel modello di sviluppo che
è sotteso, che è la visione della devastazione
umana e naturale, che è la perdita totale di
ogni senso del limite, che è il concetto dell’usa
e getta come base dello sviluppo, che è l’idea
stessa di uno sviluppo che è devastazione,
dei diritti, della natura, del futuro.
E poi la lotta crea socialità e questa è un mo-
tore potente. Il fatto che tu lotti per te e per
gli altri, ma anche che lotti perché hai gli al-
tri vicino a te, perché capisci che non ti puoi
difendere da solo e che difendere te stesso
è solo l’altra faccia di difendere tutti gli altri.
E questo dalla valle è andato oltre visto che
è una situazione che non riguarda solo ques-
to territorio, ma questa ingiustizia che si fa
devastazione ambientale e sociale è ampia-
mente diffusa ovunque, e i compagni di lotta
a quel punto era facile trovarli, non soltanto
in Italia ma in tutto il mondo; infatti ai nostri
presidi sono arrivati i Mapuche, sono arrivati
i palestinesi, ognuno portava sapere e dava
e riceveva solidarietà e forza. È questo che
ti fa resistere, perché loro hanno il denaro, il
potere, hanno i giornali di regime, le televisioni
per stravolgere la verità. Noi abbiamo le nos-
tre forze, il nostro affetto, il nostro senso di
socialità e l’amore per il nostro territorio e per
quello di tutto il mondo, perché non è solo
una dichiarazione astratta ed empatica, ma
sappiamo davvero di essere a casa nostra in
tutto il mondo e quindi non vogliamo barriere,
confini, e sono nostri fratelli anche quei poveri
che vanno a morire nella neve perché a casa
loro non hanno più nulla; il movimento No-
Tav si è anche attrezzato come movimento
contro i confini, come movimento che aiuta
le donne e gli uomini, i lavoratori, che cerca-
no di girare per il mondo in cerca di lavoro,
perché la Val di Susa è una terra di emigrati,
e quindi gli emigrati sono nostri fratelli e noi li
aiutiamo”.