My first Publication Sottosopra numero 3 | Page 10
queste ragioni e costruire un grande movi-
mento di lotta nelle aziende come nelle città
per il rilancio di una industria sana, moderna
e capace di creare lavoro dignitoso.
sacre sindoni: il racconto dell’IPCa di ciriè
in scena a torino
Nell’ambito delle tematiche ambientali che
caratterizzano questo numero abbiamo de-
ciso di intervistare Elisa Macario Ban, giova-
nissima regista che con Federico Lapo Bi-
doglio si esibirà il 29 e il 30 novembre nella
stagione di Fertili Terreni Teatro al teatro
Bell’Arte di Torino . Lo spettacolo tratta infatti
di una vicenda che ha rappresentato il pri-
mo caso di processo italiano mosso a degli
imprenditori per inquinamento. Parliamo del-
la fabbrica di coloranti Ipca di Ciriè, cittadina
a nord della provincia di Torino, che ha fatto
scuola nella giurisprudenza di mezza Europa
per la costruzione delle accuse e l’esito del-
le sentenze. Il caso ci è sembrato esemplare
perché ha rappresentato bene la contraddi-
zione tra la necessità di lavorare e quella di
tutelare la salute dei lavoratori e dell’ambien-
te circostante, una contraddizione che oggi
ci rimanda alla questione dell’Ilva di Taranto.
Come prima domanda ti chiederei di rac-
contare in breve la vicenda di questa fab-
brica e cosa ha significato l’Ipca per il
territorio in cui vivi (le sue vittime, la vicen-
da giudiziaria e ovviamente la chiusura )
‘‘L’Ipca era una fabbrica di colori, situata a
Ciriè, nel basso canavese, che dal 1921 viene
presa dai fratelli Ghisotti e da Pietro Calo-
rio che la dirigerà fino alla fine della sua vita
(poco prima dell’inizio del processo). L’Ipca
era una fabbrica di coloranti che usava so-
stanze pericolosissime per la salute umana e
per l’ambiente, nello specifico sostanze della
famiglia delle amilioromatiche che venivano
scaricate nel fiume Stura. Il contesto in cui
sorge questa fabbrica è quella del territorio
ciriacese, un territorio povero ai piedi delle
montagne e circondato dai campi. La fab-
brica rappresentava un elemento di ricchez-
za che permetteva di avere un lavoro molto
ben remunerato rispetto la media dell’epoca
o rappresentava di solito il secondo lavoro
dopo l’allevamento di pochi capi di bestiame,
permettendo a numerose famiglie di emer-
gere dalla miseria. Col passare degli anni ini-
ziano a circolare le prime voci sui problemi
interni alla fabbrica. All’epoca però c’era la
concezione che se si aveva un lavoro biso-
gnava ringraziare e non stare tanto a lamen-
tarsi. Negli anni ’60 iniziano infatti i primi scio-
peri, che coinvolgevano anche meno di sette
operai, che andavano in centro città con delle
croci bianche a denunciare i rischi che corre-
vano sul lavoro. La popolazione li accoglieva
a male parole “turnè a travajè, pelandrun!”, ri-
ferisce uno dei pochi sopravvissuti al lavoro
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in fabbrica da cui ho tratto l’intero spettacolo.
Quindi si fa molta fatica a far conoscere le
condizioni di lavoro dentro la fabbrica. Tut-
tavia grazie all’impegno di due operai che da
soli si muovono per iniziare a denunciare le
condizioni si creano i primi nuclei sindacali,
scontrandosi spesso anche con l’indifferenza
degli altri lavoratori dentro la fabbrica. Spe-
cialmente chi era prossimo alla pensione o
chi aveva condizioni peggiori ed era costret-
to a far due lavori non voleva andar contro la
dirigenza temendo ritorsioni [parliamo di anni
molto duri, quelli tra i ’50 e i ’60, i lavoratori
con fatica iniziano a lottare per migliorare le
condizioni di lavoro un po’ in tutta italia ndr].
Già nel 1952 la camera del lavoro di Ciriè
aveva chiesto una commissione di indagine
sulle sostanze nocive utilizzate, ma ci vollero
tanti anni prima che il caso esplodesse dav-
vero. La dirigenza faceva infatti finta di non
sapere che le sostanze fossero nocive, no-
nostante nel resto di Europa fossero state
dichiarate illegali. Era evidente che c’erano
dei problemi, tant’è che nella vulgata comu-
ne gli operai di quella fabbrica erano chiama-
ti i “pisa brut” perché le urine di chi lavorava
nella fabbrica erano colorate delle sostanze
utilizzate nelle lavorazioni. Qui entra in scena
un nuovo responsabile: il medico aziendale.
Consapevole dei problemi, ma complice della
dirigenza, dava infatti diagnosi false rispetto
ai gravi problemi di salute che riscontrava.
[Il medico dell’azienda dal 1929 è Giovanni
Mussa, che nel frattempo è stato anche sin-
daco e direttore sanitario all’ospedale di Ciriè.
Un suo figlio sarà primario di radiologia, dove
non riscontrerà anomalie rilevanti nei lavora-
tori neppure nei casi più evidenti. Nell’azienda,
il dottor Mussa consiglia ai dipendenti con pro-
blemi di bruciore di stomaco ed alle vie urina-
rie, oppure forti dolori addominali,di assumere
bicarbonato e bere più latte e meno vino ndr].
Già nel 1965 viene proibito alla fabbrica di
scaricare nel fiume e nel 1967 si crea il primo
vero ispettorato del lavoro che visita la fab-
brica. Nel 1972 viene arrestato Pietro Calorio,
con l’accusa di inquinamento e i due operai
che dagli anni ’50 avevano lottato perché
emergessero le condizioni critiche di lavoro, si
costituiscono parte civile. Moriranno in segui-
to per cause riconducibili alle sostanze acide
usate in tanti anni di lavoro. Questo processo
è stato il primo che ha inchiodato alle proprie
responsabilità le dirigenze di un’impresa e ha
aperto la strada a nuove inchieste che hanno