soggetti che governano eletti da noi, venga dichiara-
to per produrre consenso. Il consenso è fondamen-
tale per governare, ma se il consenso è l’unica via
mediante la quale si cerca di governare si afferma
un rischio di conformismo.
Viene in mente il Sigmund Freud di Ululare con i
lupi: quando ulula il capobranco ulula tutto il bran-
co, perché quando diciamo tutti la stessa cosa non
diciamo più nulla. Democrazia è il luogo del par-
lamento, del luogo dove la gente si parla. Hannah
Arendt intervistata sul letto di morte alla domanda:
«Ci dica, per lei che se ne è occupata tutta la vita,
cosa è la democrazia?», risponde: «Parlatevi, con-
tinuate a parlarvi».
Il processo di approssimazione che deriva dalla
capacità di parlarsi esige che consideriamo non il
conformismo, non la fedeltà, come parole sodali con
una condivisione praticabile, perché non risultano
belle parole, ma «male» parole come si dice a Napoli,
parole cattive. In quanto probabilmente abbiamo
bisogno di lealtà, non di fedeltà, abbiamo bisogno
di voce e, quindi, di contestazione e indignazione:
ce ne vorrebbe di più di lealtà e voce, rispetto a
certi fenomeni, più di quanto abbiamo bisogno di
conformismo e consenso.
Si capisce che stiamo procedendo come se ope-
rassimo una selezione semantica, una falsificazione,
come direbbe Popper, tentando di far rimanere in
piedi della parola condivisione ciò che effettiva-
mente può produrre.
La condivisione porta
a solitudine e rinuncia
Certo, se così è, c’è un portato di solitudine che
si presenta a noi, perché è chiaro che se, come
dice Anna Achmatova, non è scontato che sem-
pre il cuore possa battere sotto
la mano di chi si ama, perché
c’è un momento in cui anche chi
amiamo ha bisogno di esprimere
la propria autonomia e la propria
libertà, senza per questo offende-
re la nostra condivisione, allora
è chiaro che, se amiamo la per-
sona, proviamo la solitudine, ma
risulta una operazione sana, ne-
cessaria, se vogliamo che quella
condivisione venga temperata
alla temperatura della sua verifi-
ca costante, se vogliamo che non
divenga una ideologia, qualcosa
di banale, di dato.
Approssimarsi
significa cercare vie
del condividere, ma
allo stesso tempo
praticare l’esercizio di
una relativa rinuncia,
l’esercizio che porta
ognuno a considerare
che cosa deve mettere
in gioco di se stesso
o da dove arretrare.
Si ripropone l’immagine
dell’approssimazione. Cosa vuol
dire «approssimarsi»? Vuol dire
avvicinarsi, e quindi cercare vie
del condividere, ma allo stesso
tempo praticare l’esercizio di una
relativa rinuncia, l’esercizio che
porta ognuno a considerare che
cosa deve mettere in gioco di se
stesso o da dove arretrare, quale
limite darsi, se si vuole generare