che interagendo genera. Se il conflitto diventa generativo, se la condivisione diventa generativa, hanno bisogno l’ uno dell’ altro.
Non sempre l’ accoglienza è condivisione
Pensando ai nostri giorni, non ha senso esprimere un’ ideologia della condivisione orientata all’ accoglienza, se questa non si misura con i fenomeni reali e non crea le condizioni effettive di convivenza delle differenze. Al massimo si presentano affermazioni come quelle basate sulla parola tolleranza usata come una buona parola, o la parola integrazione: due parole tremende, perché tolleranza implica un tollerante e un tollerato ed è il tollerante che decide le condizioni del tollerare. E integrazione implica che l’ altro faccia ciò che diciamo noi, che non sia ciò che è, ma diventi uguale a noi. Sono vie di fuga dall’ impegno del confronto conflittuale che può generare un’ effettiva condivisione e quindi un’ effettiva convivenza delle differenze.
La stessa cosa vale per altre due parole: hospes e hostis, ospitalità e ostilità. Anche questi sono due fenomeni della vita contemporanea che richiedono grande attenzione per evitare le facili scelte o le posizioni, come le chiamavo prima, da anime belle. È difficile ospitare senza sentire la differenza che l’ ospitalità determina, a meno che non si voglia essere generici nell’ affrontare il problema.
Se facciamo una parafrasi all’ andante classico si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, e lo trasformiamo in: se vuoi la pace, la condivisione, se vuoi l’ accordo, impara a gestire bene il conflitto inteso come il confronto tra autonomie che cercano spazi possibili di condivisione, ammettendo le buone ragioni di entrambi o dei molti, allora si capisce che il sentiero si fa più stretto, ma non esistono vie facili verso la condivisione.
La condivisione non cresce tra conformismo e consenso
Un’ ideologia della condivisione è foriera di problemi perché si basa su affermazioni che sono aprioristiche, moralistiche, che non fanno i conti con la realtà. Ma questo vale anche nel mestiere di insegnante o nel mestiere di chi cura: la totale abnegazione, la dimensione volenterosa, tutte le posizioni che partono da un presunto o auspicabile ordine moralistico, crollano di fronte alle difficoltà. Facendo dire alla parola di cui ci occupiamo qualcosa di più coerente con la contemporaneità, di più effettivo sul piano pragmatico, facendo un’ operazione che depura l’ auspicabile attraverso un’ analisi dell’ effettivo, possiamo giungere a prassi di condivisione: il consentito a noi esseri umani.
Quanta differenza possiamo contenere?, è la domanda dolorosa, perché diversamente scivoliamo nel conformismo, altra parola vicina a condivisione.
Pensiamo, ad esempio, alla funzione che svolge il consenso nell’ agone politico. Spesso abbiamo la sensazione che ciò che viene dichiarato a livello di
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