LUCE estratti Luce 327_Calatroni_Franco Raggi | Page 5
L’ironia è un modo molto
utile e serio per non
prendersi troppo sul serio.
È un atteggiamento che
suggerisce che quello
che stai facendo potrebbe
anche non essere vero
Irony is a very useful and
serious way of not taking
yourself too seriously.
It is a positive attitude
that will remind you
that what you are doing
may not be true
FRANCO RAGGI
Trifluo, usando una tecnologia brevettata
dall’azienda stessa e sulla quale Ernesto
Gismondi aveva chiesto ad alcuni designer
una interpretazione. Si trattava di un sistema
RGB a luci fluorescenti di tre colori e gestite
con un telecomando che permetteva di
miscelare i colori ottenendo infinite possibilità
cromatiche. La Trifluo è una lampada nata
intorno al layout dettato dalle 6 sorgenti,
è un oggetto sottile, con un diffusore
microprismatico che consentiva di leggere
i colori e di diffondere una luce colorata
omogenea. Aveva solo un difetto, era costosa.
Avevo proposto a Gismondi di farne una a luce
cromaticamente fissa, più abbordabile e facile
da usare. Comunque, è vitale che le aziende
abbiano delle visioni e che tentino nuove
strade, che facciano ricerca e sperimentazione
anche se alla fine certi prodotti non avranno
successo commerciale.
Con Fontana Arte e Barovier&Toso è stato
un rapporto più continuo nel tempo.
Se fossi un imprenditore non cercherei le firme,
ma qualcuno con cui intraprendere un dialogo
con tempi lunghi, anche su questioni che non
riguardano la luce o il design. Parlerei di arte,
politica o filosofia, perché fare prodotti non
è solo un rapporto tra committente
e progettista, è qualcosa di più complesso
e articolato. Ho cominciato a lavorare con
Fontana Arte nel 1980, quando Gae Aulenti
divenne Art Director. La conobbi grazie al mio
lavoro alla Biennale di Venezia come
coordinatore delle mostre nel ‘76 e poi come
80
LUCE 327 / INCONTRI
redattore di Modo. Credo sia stato il mio modo
di raccontare e scrivere a interessarla. Il fatto
che la Aulenti chiamasse qualcuno come me,
che non aveva mai disegnato niente, mi è
sempre sembrato un atto di generosa
incoscienza e lungimiranza insieme. E da qui è
iniziato un rapporto con l’azienda che è durato
trent’anni. Attorno a Gae e a Carlo Guglielmi si
era creato un team notevole: Gae Aulenti, Piero
Castiglioni, Pierluigi Cerri, Ettore Sottsass,
Daniela Puppa e io. Grazie al lavoro di tutti, e al
dialogo continuo con Aulenti e l’azienda,
Fontana Arte tornò a essere uno dei marchi
italiani più prestigiosi. Poi fu venduta e tutto è
cambiato, allargando l’orizzonte, coinvolgendo
molti designer a chiamata, con collaborazioni
spot che funzionano per il marketing, ma che
hanno fatto perdere coerenza alla collezione.
Una vicenda simile a quella di Luceplan,
cresciuta grazie al rapporto stretto tra Riccardo
Sarfatti, Paolo Rizzatto e Alberto Meda. Poi tutto
è cambiato e il rapporto si è spento,
e la tensione innovativa anche. Con Jacopo
Barovier è stato un incontro diverso ma
altrettanto casuale, dopo avermi sentito
parlare ad un convegno nel 1981 sul design
dell’inutile e dell’apparenza e sulle banalità del
marketing. Con lui abbiamo ridisegnato
l’immagine dell’azienda, confermandola
leader nella produzione del classico muranese e
delle sue evoluzioni in senso moderno. Anche in
questo caso si è creato un rapporto
professionale e culturale di scambio
e di amicizia, che andava oltre il lavoro.
Noi giornalisti, legati al mondo del design,
tendiamo ad associare una lampada
o un oggetto a un nome e viceversa. Nel nostro
caso si tratta di Oz. Ce la può raccontare?
Oz è nata nel 1980, nello stesso anno in
cui stavo lavorando con Alessandro Mendini,
Daniela Puppa e Paola Navone alla mostra
sul design post-moderno per la Biennale
di Venezia, da affiancare alla Strada Novissima
di Paolo Portoghesi. Poiché nel 1980 il design
non era presente nelle case come lo è oggi,
abbiamo pensato di fare una mostra usando
oggetti anonimi. La nostra riflessione partiva
dal fatto che gli acquirenti di un oggetto
di design fossero una nicchia, colta
e intellettuale, mentre la gran massa
dei consumatori comprava felicemente
oggetti anonimi, tra banalità e kitsch.
Abbiamo quindi deciso di proporre quaranta
prodotti “normali”, senza apparente qualità,
mostrando una visione cinica del mondo
degli oggetti. La mostra esibiva manufatti
presi nei supermercati o nei nostri viaggi,
ma che raccontavano una cultura materiale
concreta e discontinua; che fossero belli
o meno non importava. Abbiamo deciso
di decorare questi oggetti con puntine
fluorescenti che, con la luce di Wood, di notte
risplendevano, mostrando la loro essenza/
assenza. Per illuminare gli oggetti ho disegnato
una lampada “preziosa” in vetro, un cono
in vetro opalino tagliato e molato sghembo
e con una lastra di cristallo inclinata che lo
attraversava. Insomma, un oggetto prezioso
e urticante insieme. Fu realizzata per
l’occasione da Fontana Arte, poi entrata
in catalogo anche in versione da tavolo,
appoggiata su una base di cristallo trasparente.
Guardando i suoi lavori ho notato tre
possibili approcci progettuali. Il primo è l’uso
di forme primarie (Flûte e Oz), il secondo
è la ricerca (Trifluo), il terzo è l’innovazione
(Mood e Domo). È una plausibile definizione
del suo lavoro?
Non saprei. Posso dire che nel mio lavoro mi
piace esplorare degli estremi. Per esempio,
quello di “fare poco”. Flûte ne è esempio:
È minimale, in vetro borosilicato trasparente
e alluminio, il vetro serve solo da sostegno
e non ha funzione di filtraggio della luce.
La bellezza del borosilicato è la possibilità
di unire le forme, senza stampaggio, la perfetta
trasparenza e la possibilità di forarlo senza
scheggiature. L’imbuto deriva dalla forma
classica del “matraccio” che a fiamma viene
unito allo stelo. Il diffusore è in alluminio,
sospeso nella struttura in vetro grazie a tre
bacchette. Flûte indaga un tema che mi ha
sempre affascinato: la sottrazione. Ho cercato di
lavorare sulla lampada non come elemento
decorativo, ma come elemento essenziale, fatto
di pochi elementi la cui qualità sta nella
essenzialità. Se c’è poco, c’è poco che invecchia.
Di Trifluo ho già raccontato. Con Mood e Domo,
per Barovier&Toso, abbiamo innovato
cambiando il modo di disporre nello spazio
pezzi di lampadari classici. Nel lampadario
veneziano, coppe, bracci, bicchieri e foglie
soffiati in forme immutabili dai maestri vetrai
sono poi assemblati a comporre una galassia di
parti che ruotano attorno a un centro. Il processo
è stato quello di prendere questi pezzi e disporli
in modo diverso, in una sorta di ikebana di vetri
e luci. Poi ho deciso di esporre i cavi elettrici
e le parti meccaniche solitamente nascoste.
Sia Mood che Domo sono un modo diverso di
fare un ordine diverso nell’iconografia del
chandelier muranese.
L’ironia è un elemento presente in molti
suoi progetti, come On/Off o Cap o nei suoi
Esperimenti. Ce ne vuole parlare?
L’ironia è un modo molto utile e serio per non
prendersi troppo sul serio. È un atteggiamento
che suggerisce che quello che stai facendo
potrebbe anche non essere vero. L’ironia
è anche un modo di porsi di fronte al mondo
senza troppe certezze. Poiché le certezze,
a parte matematica e scienza, sono un po’
pericolose. Praticare l’ironia è come insinuare
un batterio che cambia la prospettiva e induce
un sorriso. L’ironia presuppone un’attitudine
al sorriso, ed è anche una forma di conoscenza,
perché svela le nostre e altrui debolezze
e ci invita a essere vigili rispetto alla retorica
e alla banalità. Per me è fondamentale,
è una forma non aggressiva di critica e di
comunicazione del pensiero. Seguendo queste
riflessioni nasce On/Off per Vistosi, poi editata
da Luceplan. Ideata prendendo come spunto
creativo un furto di tecnologia: l’interruttore
a gravità, quello dei coperchi dei congelatori
per capirsi. Trovo interessante prendere un
componente che appartiene a un certo mondo
e vedere cosa accade se portato in un altro.
È una lampada perfetta, tolta dal catalogo
per ragioni oscure; se fosse stata comunicata
adeguatamente avrebbe potuto avere un posto
tra le icone del mercato e del design, come
la Parentesi. Senza paragonarmi ai Castiglioni,
con Santachiara e Meda abbiamo messo