LUCE estratti LUCE 326_Capoduri_Alexander Bellman | Page 5
alterità di un elemento rispetto all’altro,
che sono nati i nostri migliori lavori.
Quali storie e impressioni legate alla sua
progettazione illuminotecnica le fa piacere
svelare e condividere?
La prova generale, in cui tutto viene acceso
e calibrato insieme, costituisce l’emozione più
grande. Niente è comparabile alla “sorpresa”
della realtà, la prima accensione di un progetto
nel suo complesso, il cosiddetto fine tuning
che si fa in campo. Un campo sul quale, spesso,
ci si trova a dover improvvisare, portando anche
modifiche di non poco conto. Personalmente
amo la sensazione d’imprevedibilità che quel
momento mi regala: siamo alle ultime battute,
alla fine di un lungo lavoro, ma tutto
può ancora cambiare. Devo farmi trovare
pronto, e questa consapevolezza è per me
un forte sprone alla creatività.
Poi di aneddoti ce ne sono tanti, anche curiosi.
Ad esempio mi piace molto, in quei momenti,
intervistare le persone, soprattutto se sono
inconsapevoli di parlare con il progettista.
Una volta mi sono finto il guardiano di una
mostra che avevo appena progettato e ho
raccolto, insieme alle firme di presenza,
i commenti più diversi: da “meraviglioso!”
a “non si vede nulla, chi ha fatto la luce?”.
Trovo anche divertente il fatto che un bel po’
di anni fa, all’inaugurazione del nostro primo
progetto interamente Led, ho ricevuto
tantissimi complimenti per aver resistito
e usato ancora le alogene.
Allontanandoci dalla vista del singolo,
è importante ricordare “il gruppo” C14.
L’essere spicchio di un team è per molti
progettisti la chiave del successo...
Non c’è alcun dubbio. Siamo un gruppo che
lavora insieme, che si aiuta a vicenda e che
proviene dai più disparati luoghi dell’Italia
e del mondo. Caratteristica fondamentale di C14
è che tutti hanno la possibilità e l’onere di
E3 West Unicredit Pavillion, Milano, 2015. Cliente: Unicredit
partecipare attivamente alla fase creativa
di un progetto, indipendentemente dalle
specifiche competenze ed esperienze.
Questo modo di procedere complica senza
dubbio la gestione e il coordinamento
del lavoro, ma permette alla creatività
di correre libera da preconcetti o prescrizioni.
Devo ringraziare tutte le persone che lavorano
con me, in primis i miei partner Matteo Nobili
e Alessandra Lemarangi, per il sovraccarico
emotivo e professionale che sopportano.
A fronte del ventennio d’attività, le chiedo
come vede considerato oggi il lighting design.
Premetto che il continuo sviluppo tecnologico
e la miniaturizzazione delle sorgenti, insieme
all’evoluzione dei sistemi di controllo su larga
e piccola scala, hanno aperto infinite possibilità
per i progettisti, sia per quanto riguarda il design
dei singoli apparecchi che la progettazione
degli effetti luminosi. Anche temi importanti
e decisamente attuali come il risparmio
E3 West Unicredit Pavillion,
Milano, 2015.
Cliente: Unicredit -
COIMA sgr
Sketch del posizionamento
dei corpi illuminanti per
l’illuminazione della
facciata, della copertura e
degli interni dell’edificio /
Sketch for the positioning
of the lighting fixtures for
the illumination of the
façade, the roof, and the
interiors of the building
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LUCE 326 / LIGHTING DESIGNERS
energetico possono essere affrontati con
un occhio completamente diverso e con la
consapevolezza di vivere un momento di grande
trasformazione. E poiché la richiesta della
committenza sul tema lighting design sta
crescendo notevolmente, credo che sia in parte
proprio compito di chi fa questa professione
specifica, del resto piuttosto recente, portare
avanti una politica di sensibilizzazione generale.
Certo è un percorso difficile, basti pensare
che nella committenza e nel pubblico esiste
comunque un’idea di fondo (che in un certo
senso è verissima e allo stesso tempo fasulla)
che identifica la luce – nell’ambito delle
discipline di architettura – come un intervento
estremamente “leggero” e reversibile
facilmente, conseguentemente accessorio.
Ma da un punto di vista percettivo, però,
siamo tutti consapevoli che il cambiamento
tra illuminato e non illuminato, tra il prima
e il dopo, è enorme e improvviso. Inoltre,
l’utente finale ha spesso bisogno di protocolli
di controllo avanzati, e non soltanto
di interruttori on/off. Non si progetta quindi
uno stato fisico predeterminato, ma le regole
che definiscono un insieme di possibilità.
C14 merita dei complimenti anche per il Journal
che riesce a editare da anni. Soprattutto
per la voglia d’investire in qualcosa che richiede
particolari forze per confrontarsi con coraggio
e cultura su ciò che si pensa.
Il progetto del Journal costa molte energie,
è vero, ma in parte ci permette anche
il recupero delle stesse perché ideato e prodotto
internamente; dalla grafica ai testi.
Ogni membro del team partecipa alla redazione
della rivista, anche solo con il piccolo contributo
di una rubrica: in quest’ottica ritengo
che il Journal si possa considerare non solo
uno strumento pubblicitario, ma anche
un’esperienza di crescita personale e collettiva,
che permette di guardare il proprio lavoro
dall’esterno. O meglio, di guardare se stessi
dall’esterno, di valutare la propria quotidianità
con ironia, senza perdere di vista il mondo
fuori dallo studio. Anche il lavoro più prestigioso
e importante del mondo è fatto, alla fine,
di momenti quotidiani: allora, a mio avviso,
è necessario bilanciare le minuterie
del giornaliero con il sublime di certi