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¶ LANTERNA MAGICA
La luce dell’Opera
Alceste – Opéra de Lyon
Conversazione con
Marco Filibeck
di Paolo Calafiore
A
partire dalla fine degli anni ‘80, in Italia,
nuovi gruppi teatrali diedero vita a una
nuova corrente che venne identificata
in “Teatro di ricerca”. Giancarlo Cauteruccio,
Barberio Corsetti, Mario Martone, Federico Tiezzi,
Memé Perlini, Giuliano Basilico e Romeo
Castellucci innescarono con gli spettacoli
creati con le rispettive compagnie un processo
di contaminazione dei linguaggi della messa
in scena che oggi investe a pieno anche l’ambito
dell’Opera. Quali sono le conseguenze di questo
processo nell’estetica e nella tecnica
di illuminazione dello spettacolo nelle sue
diverse espressioni?
La parola contaminazione mi piace molto perché
aiuta a definire questo importante processo che
coinvolge la luce in tutti i suoi linguaggi. Fino a
una ventina di anni fa, i diversi mondi della
moda, del cinema, della pubblicità, del teatro e
della televisione sviluppavano le loro tecniche
della luce in modo isolato e settoriale. Ciascuno
seguiva un percorso proprio, viveva la propria
realtà e difficilmente si creava una interazione.
Penso che le tecnologie attuali costituiscano quel
terreno comune che consente la condivisione
delle esperienze, e che le stesse tecnologie si
possano sviluppare attraverso questa
condivisione e contaminazione. Per fare alcuni
esempi: i moving light per l’effettistica, tanto
utilizzati nei programmi di intrattenimento
televisivo, sono gli stessi utilizzati nel live dei
concerti, oppure le scenografie di luci dei
talkshow, che sono ormai parte anche di molti
allestimenti teatrali. Anche la Moda, negli ultimi
anni, ci mostra sfilate con una qualità di
immagine e soluzioni molto vicine alla forma
teatrale. E ancora, l’illuminazione architetturale
che, attraverso un utilizzo dinamico della luce e
del colore, sviluppa nuovi linguaggi e poetiche.
Tutte testimonianze del travaso di idee e di
tecniche e di un movimento costante di “andata
e ritorno” del know-how settoriale che sta
avvicinando i singoli linguaggi della luce verso
una nuova universalità tecnica ed espressiva.
Contaminazione e quindi ricodifica
dell’estetica e delle tecniche di illuminazione
dello spazio scenico?
Direi di sì, ma non solo. In teatro, strumenti
apparentemente estranei vengono utilizzati
sfruttandone le caratteristiche peculiari.
Un esempio del recente passato sono i proiettori
di alta potenza “daylight”, in uso nel cinema,
il cui utilizzo in teatro ha cambiato radicalmente
tecniche e linguaggi. O le lampade fluorescenti
per l’illuminazione di spazi destinati al lavoro e
allo studio, che attraverso la dimmerazione
trovano una modalità completamente diversa da
quella per cui sono state prodotte. C’è, a mio
parere, un lavoro di ricerca che va segnalato.
Penso che in Europa tutto abbia avuto inizio
dalle ricerche pionieristiche di Adolphe Appia
ed Edward Gordon Craig, per quanto riguarda
il concetto di scenografia moderna; una ricerca
portata alle estreme conseguenze dalle
applicazioni integrate di scenografia e luce
sviluppate dal padre della scenografia
contemporanea Joseph Svoboda.
Il lavoro di ricerca di un genio quale fu Svoboda è
la testimonianza di come la ricerca tecnologica e
la sperimentazione abbiano consentito
al teatro lo sviluppo di nuovi linguaggi che,
rompendo le barriere settoriali, si sono poi diffusi
e ulteriormente determinati. Basti pensare alla
sua intuizione nell’utilizzo delle immagini
proiettate sulle scenografie: immagini fisse, non
dinamiche, diapositive di grandi dimensioni. E
pensiamo alle installazioni video di oggi, al
mapping architetturale, ai ledwall. Tutte tecniche
che nascono dalle idee di Svoboda, si sviluppano
in ambienti diversi dal teatro, come televisione o
concerti live, e vi ritornano sotto forma di
scenografie virtuali o di immagini dal significato
drammaturgico.
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