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¶ LANTERNA MAGICA
La materia del buio
Conversazione con Pasquale Mari
di Paolo Calafiore
Durante i tuoi esordi quali sono state
le influenze che hanno agito nel formare
il tuo pensiero e il tuo approccio metodologico
con la Luce?
La mia influenza principale è stata la luce
cinematografica.
Il bianco e nero del cinema nordeuropeo
d’anteguerra – Murnau, Lang, Dreyer –
e del cinema americano anni ‘40 e ‘50,
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LUCE 322 / LANTERNA MAGICA
D
ebutterai con l’Andrea Chénier
il 7 dicembre al Teatro alla Scala, ma se
volgi un attimo lo sguardo indietro,
quali sono i momenti e le immagini che ricordi
dei tuoi primi lavori?
È vero, lo ammetto, sento questo debutto
all’inaugurazione della stagione scaligera come
uno dei punti nodali del percorso fatto fino
a questo momento. Non avrei mai pensato,
né desiderato, quando ho cominciato,
che mi capitasse un giorno.
Non pensavo neanche che avrei mai lavorato
nell’opera lirica; non pensavo neanche che avrei
lavorato per sempre in teatro...
Ecco, l’approccio da neofita è stato la costante
del mio percorso.
Ero un film-maker e critico in erba quando
ho fondato nel 1979 Falso Movimento
(con Angelo Curti, Mario Martone, Andrea Renzi);
i nostri lavori erano di genere performativo, site
specific, come si direbbe oggi, e multi-mediali,
come si diceva allora, e prevedevano la nostra
presenza accanto alle nostre tecnologie
– proiettori Super8, proiettori per diapositive –
sulla scena.
Studenti di Lettere con indirizzo verso lo
Spettacolo, ci siamo trovati sui palchi di mezza
Italia, impreparati, a farci insegnare le tecniche
della messa in scena e a sentirci ripetere che no,
non avremmo più smesso di fare quel mestiere...
E così è stato.
La vocazione unica verso la luce però, una
specie di chiamata, io l’ho sentita nel corso
della preparazione di uno dei nostri lavori
più ambiziosi, Ritorno ad Alphaville, riscrittura
per spazi non teatrali del film Alphaville
di Godard, nel 1986.
Una scena del film che stavamo studiando,
in particolare.
All’improvviso in un grande ambiente del set
fantascientifico di Godard si accende una lunga
teoria di tubi al neon, spostando la scena
dal nero al bianco, e qualcuno commenta:
“Toh, si è fatto giorno...”.
la cui luce eccellente era in molti casi fatta
da operatori transfughi della guerra in Europa.
La luce graffiata sui singoli fotogrammi
dei suoi film da uno sperimentatore come
Josef Kubelka, che progettava utopistiche sale
di proiezione dove ottenere la concentrazione
assoluta dello spettatore.
E infine la luce del cinema americano anni ‘70
delle strade (Scorsese) e dei grandi racconti epici
(Coppola). Ricordo un giorno intero chiusi in casa
con il gruppo di amici già citati a guardare in
sequenza Il Padrino I e II.
Chi sono stati i tuoi Maestri?
Da ragazzo, e prima di farlo, andavo anche
a Teatro. E ricordo il fascino sensoriale degli
spettacoli di Carmelo Bene, immersi in un nero
in cui la luce e il colore diventavano un
fenomeno tattile insieme alla parola, l’estrema
perizia tecnica e il rigore formale. Che poi ho
ritrovato nei lavori, affatto diversi, di Leo de
Berardinis e in quel maestro della luce teatrale,
che non a caso eseguiva in prima persona
ogni sera, quale era Maurizio Viani. Riconosco,
insomma, un imprinting teatrale legato
allo studio approfondito dello spazio, privo
dell’ausilio di grandi macchine sceniche, e per
questo guidato dall’uso distillato della luce.
Leggendo una tua riflessione sulla pratica
quotidiana del fare Luce ho trovato chiara
la dimensione che restituisce il tuo pensiero
sull’ascolto attento dei luoghi, e mi è affiorata
in mente l’immagine di un rabdomante
di frequenze luminose…
Cercare le leggi spaziali che governano il luogo
scelto per l’azione, seguirne le coordinate
e farsene guidare per provocare la nascita
della luce più naturale: è quello che ho imparato
a fare fin dall’inizio, dentro, ma soprattutto
fuori dagli spazi teatrali dove sono stato
chiamato ad agire.
Parliamo di Luce attraverso i confini, le distanze
e gli equilibri che uniscono e separano il teatro
dal cinema. Da spettatore, quando sono in
teatro ho la sensazione che il palcoscenico sia
un luogo che genera Luce dall’interno della
scatola ottica e prospettica, ci sono momenti
in cui sembra proprio nascere in quel preciso
istante; nel cinema la luce è riflessa da uno
schermo bidimensionale, ma è comunque
generata da un proiettore…
Non diversamente dall’attività di studio
e preparazione della luce che si svolge sui set
cinematografici, sia in interno che in esterno,
dove lo stretto rapporto che la scena