LUCE estratti LUCE 319_Longo, Rizzato Naressi_Piano nobile di lu | Page 6

Secondo questa interpretazione sociale dell’architettura, l’edificio permette al pubblico di accedervi gratuitamente indipendentemente dai concerti. Sì, l’accesso è libero nella Plaza, la piattaforma tra il palazzo in mattoni e la nuova struttura di vetro. Era un punto fondamentale del dibattito nella città di Amburgo, che non voleva un luogo dedicato esclusivamente a persone ricche e bene educate, a chi può pagare un biglietto decisamente costoso. I cittadini e l’amministrazione comunale di Amburgo volevano che questo palazzo fosse per tutti, con aree pubbliche ad accesso libero. Al suo interno ha luogo anche un nutrito programma educativo, dove scolari e bambini possono prendere parte a laboratori e attività simili. Era un chiaro obiettivo politico e fortunatamente la città di Amburgo è stata molto precisa in questo. Che ruolo gioca la luce dall’esterno del palazzo di vetro? Per la sua particolare location, l’Elbphilharmonie è unica in termini di condizioni di luce ed è ora diventata il nuovo emblema della città. La parte superiore è in vetro: il fatto che gli eventi fossero sempre visibili dall’esterno, proprio grazie alla loro illuminazione, era particolarmente interessante per me. Quando le luci della sala principale, situata esattamente al centro dell’edificio, sono accese, le persone riescono a capire anche da fuori che avrà luogo un concerto. Prima di tutto ci siamo detti che l’architettura dell’Elbphilharmonie è abbastanza potente di per sé e non necessitava di un ulteriore spettacolo di luci all’esterno. L’illuminazione è complementare, modesta, e funziona secondo principi ottici semplici. Abbiamo deciso di non puntare nessuna luce sul blocco inferiore in mattoni – anche se trovandosi sotto al palazzo di vetro ora appare ancora più buio –, perché altrimenti sarebbe apparso artificiale e avrebbe assunto una rilevanza pari alla parte superiore. In questo modo, invece, la base in mattoni dell’edificio conserva la sua attitudine modesta e riceve solo un po’ della luce riflessa dall’area circostante. Il mio approccio a questo progetto è stato quello di mantenere una forte relazione con il contesto e non iper-illuminare il palazzo soltanto perché è il più importante. Per me l’essenziale era mantenere la connessione tra esterno e interno in ogni ora del giorno. Il cielo, l’acqua e la vista panoramica sulla città dovevano restare esperibili anche dall’interno, perciò l’interno non doveva essere troppo illuminato. Siamo perciò andati nella direzione del bagliore, non dell’abbagliare come nelle pubblicità. Abbiamo anche previsto che le sorgenti di luce fossero regolabili tramite dimmer, così da poterle portare al settaggio più basso in tarda serata”. Quale utilizzo avete fatto della luce naturale che attraversa la facciata in vetro? Il tipo di vetro utilizzato ha molte funzioni, prima di tutto quella di isolare l’edificio dal calore e conservare una temperatura costante al suo interno. Per risolvere questa questione, abbiamo stampato svariati pattern a puntini all’interno di un vetro multistrato dalla tecnologia molto sofisticata. La luce qui, al contrario che nei consueti vetri che proteggono dal sole, non è filtrata in maniera uniforme sull’intera superficie della finestra. Abbiamo calcolato numero e densità dei puntini a seconda di quanta luce e calore volevamo venissero riflessi: più densi lungo gli angoli delle lastre, mentre nella parte centrale la vista resta libera. I punti sono argentei nella parte esterna così da riflettere la luce. Su un ulteriore strato sono invece contenuti punti neri, perciò non riflettenti. In questo modo è possibile guardare fuori senza essere accecati dal sole. Zumtobel ha realizzato 1.200 corpi illuminanti sferici di vetro soffiato a mano e altri prodotti di alta tecnologia sviluppati per l’intero concept. Il progetto di questo impianto è stato ideato nel nostro studio (Ulrike Brandi Licht, NdR) insieme a Herzog & de Meuron, dopodiché abbiamo scelto un’azienda che fosse in grado di costruire l’oggetto nei dettagli. L’idea era quella di avere dei corpi illuminanti posti al di sotto del soffitto, così che esso stesso venisse illuminato. Se avessimo semplicemente posizionato delle downlight incassate nel soffitto, esso non sarebbe stato illuminato, mentre le sfere di vetro permettono che la giusta porzione di luce venga riflessa anche su di esso. Al di sopra di queste palle di vetro sul soffitto si trova l’impianto tecnico, mentre all’interno del soffitto stesso sono collocate downlight con LED dimmerabili che conferiscono un caldo bagliore all’interno delle sfere di vetro. Si tratta dell’unica fonte di illuminazione per uno spazio così grande? No, poiché i musicisti necessitano di migliaia di lux sui loro posti a sedere per leggere la musica. C’è un enorme elemento sospeso al centro della sala, un grande riflettore acustico. In cima a esso ci sono luci che illuminano la calotta sottostante, che altrimenti sarebbe apparsa come un buco scuro. Al di sotto sono installate le luci del palco, con riflettori mobili e direzionabili che generano ancora più luce diretta sul palcoscenico. Altre luci dirette sul palco provengono da una fessura circolare sul soffitto, i cui corpi illuminanti e le relative sedi sono discretamente celate alla vista. Il suo studio ha anche progettato l’illuminazione per i nuovi Theatre e Recital Hall della Royal Academy of Music a Londra, che apriranno entro fine anno. Quali sono le specificità del lighting design in tali spazi culturali? Questa è stata una bellissima esperienza. Lo studio Ian Ritchie Architects Ltd è stato incaricato dalla Royal Academy of Music – parte della University of London e tra i migliori conservatori al mondo – della ristrutturazione del Theatre e dell’ampliamento della Recital Hall. Amo molto quando si ristruttura un edificio, perché si può vedere come questo è vissuto dalle persone. Dal cantiere potevo ascoltare le esercitazioni musicali dei giovani musicisti, provenienti dalla sala prove. Del progetto mi piaceva anche molto l’idea di Ian Ritchie Architects per gli interni, completamente rivestiti di legno come un enorme strumento a corda. Abbiamo pensato che sarebbe stato bello, invece del tradizionale lampadario centrale, che la luce venisse distribuita per l’intera sala. Così abbiamo ridisegnato i cristalli del tradizionale lampadario e li abbiamo disseminati lungo l’intera superficie del soffitto e delle pareti. Lei è anche fondatrice del Brandi Institute of Light and Design. Perché ha sentito la necessità di sostenere la formazione in questa disciplina? Ho un’idea mia di come si impara a essere un lighting designer. Ho sempre pensato sia molto importante integrare la conoscenza degli aspetti estetici e tecnici legati all’illuminazione, l’osservazione e la comprensione degli svariati fenomeni che la luce può creare con una conoscenza più prettamente tecnica. Sia in fase di costruzione che di progettazione si lavora con 52 LUCE 319 / CORRISPONDENZA DA BERLINO