La Pesca Mosca e Spinning February-March 2020 | Page 15

Tirreno meridionale Pesco nella mia amata Sicilia, in particolare a Palermo, da quando avevo sei anni; mi sono infatti sempre bastati uno specchio di acqua salata e una canna da pesca per stare bene. Pratico con passione diverse tecniche, ma da circa otto anni mi dedico assiduamente ai cefalopodi. Vivendo su un’isola, ho la possibilità di spostarmi in diversi spot e mi muovo tra le co- ste palermitane e trapanesi, che per quanto vicine hanno pe- culiarità diverse. In Sicilia la pesca dei cefalopodi si effettua per lo più nel periodo invernale, quando la temperatura del- l’acqua si abbassa e i nostri amici iniziano le loro scorribande nel sottocosta. Nel Palermitano frequento spesso le scogliere esterne dei moli, dove anche in bassi fondali non è raro l’in- contro con calamari di ottima taglia, ma dove quella delle sep- pie spesso non è rilevante a causa dell’eccessivo ‘sfruttamento’ del mare: per cercare qualche esemplare di taglia occorre allo- ra andare in spiaggia (qui poco profonda), dove nel periodo che va da novembre a gennaio si possono effettuare belle cat- ture. Nel Trapanese, invece, vado in scogliera, dove i fondali importanti favoriscono la presenza di calamari già a inizio sta- gione; qui le seppie accostano tardivamente: nel periodo suc- cessivo a febbraio iniziano ad essere presenti in gran numero e con taglie di tutto rispetto. Negli spot citati la presenza dei polpi non è rara, ma con l’eging la loro cattura non è proprio una regola ed è preferibile impiegare attrezzature diverse. All’inizio utilizzavo una canna da spinning, ma col passare degli anni ho sentito la necessità di cercare un attrezzo che rispondesse ad alcune precise esigenze: sensibilità e morbi- dezza, soprattutto per le fughe dei ‘big squid’. Da due anni, così, possiedo una canna da eging dedicata che risponde a pieno alle mie esigenze. Alla canna abbino un mulinello di ta- glia 3000 di buona fattura, in quanto la tecnica prevede l’uti- lizzo del trecciato, per cui, al fine di evitare le fastidiose par- rucche è bene avere qualcosa di affidabile. Il trecciato è di fondamentale aiuto: grazie all’assenza di elasticità permette di sentire le minime tocche, che specialmente per le seppie sono a volte impercettibili; mi sento di consigliare un otto ca- pi dello 0.8 PE, al quale va unito uno spezzone di circa 60 cm di fluorcarbon (io utilizzo un buon 0.23), che termina con uno snap al quale agganciare gli egi. Il capitolo delle esche è ampio e vario, dal momento che in commercio ne esistono davvero tante, dalle più blasonate alle più economiche. Posso dire con sicurezza che hanno tutte la loro efficacia, perché anche i modelli meno cari permettono di fare catture e sono molto utili quando ci si trova a testare nuo- vi spot per verificare la presenza o meno di incagli. È indiscuti- bile comunque che gli egi più costosi hanno qualcosa in più: si lanciano meglio, affondano sempre in assetto (45°), hanno una qualità dei componenti superiore, presentano infine un fattore per me fondamentale, che definisco ‘la precisione dei cestelli’, ovvero la qualità degli aghi in relazione all’aggancio nelle mor- bide carni dei cefalopodi. Gli aghi devono infatti penetrare de- licatamente, ma assicurare una presa ben salda, che eviti lo sganciarsi della preda. Da alcuni mesi sto testando gli Egista Tsuriken, totanare di ottima qualità e reperibili in una gamma di tipologie e colori notevole. Esistono infatti egi normal, slow (affondamento lento), deep (affondamento rapido), rattle (con sfere interne che favoriscono il suono di una lunghezza d’onda molto attirante) e glow (dotati di luminiscenza, quando vengo- no attivati con lampade adatte allo scopo sprigionano una luce utile ad evidenziare l’artificiale). Per quanto riguarda i colori, non esiste una regola che dica quali siano i migliori in assoluto, anche perché ciò varia da zona in zona e in base alle condizioni che possono presentarsi. In linea di massima, quando l’acqua è pulita si utilizzano colori naturali, mentre quando è scura sono da preferire tinte cangianti e di contrasto. L’azione di pesca prevede, dopo aver lanciato, di far scendere l’artificiale all’altezza voluta con jerkate lente e prossime al fondo per le seppie che stazionano negli strati più bassi della colonna d’acqua (ottimi gli egi deep in questi casi), mentre è preferibile effettuare jerkate ampie e ripetute per sondare i diversi strati alla ricerca dei calamari (vengono utili allora gli egi slow), che a seconda della luna e della corrente si staccano dal fondo, consentendo di ottenere attacchi anche negli strati superficiali. Il recupero va sempre effettuato in modo costan- te e senza forzare per evitare di ‘strappare’ i cefalopodi; è fon- damentale l’utilizzo di un buon guadino per salpare le prede. L’eging è una tecnica apparentemente semplice, ma che dà ri- sultati soltanto dopo averla capita fino in fondo e averla prati- cata per molto tempo. Con l’esperienza, come sempre, si im- parano trucchi e si elaborano strategie personali. Una cosa che mi sento di consigliare, per esempio, è quella di utilizzare colorazioni scure (anche di notte), che danno spesso ottimi risultati: personalmente utilizzo con fiducia egi neri o marro- ni, con risultati soddisfacenti nelle più disparate situazioni. Consiglio a tutti di provare la tecnica dell’eging per la sensa- zione di calma interiore e concentrazione che si vive durante i momenti di pesca… e per l’adrenalina improvvisa che nasce dall’incontro con gli esemplari di taglia. Antonino Palazzolo 1/2020 • MOSCA e SPINNING • 17