Juggling Magazine september 2014, n.64 | Page 7

foto di Brad Doherty in cui tutto questo cominciò a prendere forma fu quando cominciai a vedere la sfera come una metafora per esprimere qualcosa di diverso da quello che era. Era il periodo in cui mia sorella era molto malata, trascorrevo tanto tempo con lei e riflettevo sul fatto che lei fosse viva e che potesse morire da un momento all’altro. Era come se la vita fosse la luce che entrava in quella sfera e per preservarla tu non avresti voluto oscurarla. Fu così che cominciai ad esplorare il senso di “toccare” e non quello di “controllare”, così la parola chiave per me era “touch”. Poi questo tipo di manipolazione ha preso il nome di contact juggling, e possiamo dibattere a lungo su questo, e sicuramente questa definizione può comprende il far rotolare la palla sul corpo. Ma erano tecniche e concetti che erano già in giro da tempo, quello per cui mi sento di aver contribuito personalmente è il senso che io non potessi aggiungere niente alla bellezza della luce che entra nella sfera, che rischiassi solo di diminuirne la bellezza; così ho generato una sorta di rispetto per la condizione della sfera, e la possibilità che quell’oggetto diventasse il veicolo di una metafora; e questo non lo avevo ancora visto realizzato nel juggling. Questa è stata la mia influenza su tutto quello che poi è diventato manipolazione e che dalle palle si è allargato alle clave, al bastone, etc. Devi essere un pò pazzo per cimentarti in qualcosa che non hai ancora visto in giro. Vuoi andare da qualche parte dove nessuno ti ha detto di andare e dove non sai cosa accadrà. Siamo tutti esploratori, ma quando cominciò mi piaceva essere in una condizione in cui sei pronto all’ascolto, ci ho messo tanto lavoro, focus, attenzione, e alla fine la tecnica ha cominiciato a produrre risultati. Eravamo sul finire degli anni ‘70 e ora trenta anni dopo essere qui alla EJC dove tutti comunicano in un modo molto amichevole, dove non esiste la competizione (la mia ultima competzione risale al 1975), dove tutto si fonda sullo scambio reciproco… mi fa sentire nel posto giusto. Quando ci esibiamo stiamo entrando in una sfera di comunione. Trasportare le persone in uno stato d’animo dove non sono state prima, è una celebrazione del sublime, del tocco sublime, che niente però può controllare in assoluto. Da dove veniamo come specie, come amiamo coinvolgerci nella comunicazione, questo è quello che amo. È una possibilità di crescita interna ma anche di crescita nella comunicazione e nel rapporto con i simili. Se invece parliamo solo di copiare una tecnica allora l’argomento non mi interessa. Per anni il juggling è stata la cornice all’interno della quale provavo ad esprimermi. Sentivo che il mio lavoro all’interno della giocoleria aveva due direzioni: essere il creatore di una nuova forma espressiva e di nuovi attrezzi. Un vero artista non utilizza le cose a disposizione ma ne crea di nuove, e volevo vedere se fossi capace di raggiungere questo. E poi mi interessava la performance, diventare interprete delle mie creazioni. Questa collaborazione tra il creative artist e l’interpreter artist è fondamentale per una buona riuscita della performance. Ora, visto che le mie abilità fisiche sono in fase di decrescita mi piace poter esplorare una nuova dimensione. Invece di creare per la giocoleria, vorrei mettere la saggezza acquisita negli anni nei processi di creazione al servizio di una difficile trasformazione, quello che considero una pre-digital, analogica, abilità interattiva per l’educazione di massa e l’educazione fisica. Così sto lavorando con studenti nelle scuole per un’educazione attraverso le arti e non attraverso le capacità celebrali o l’apprendimento cognitivo; è più un aprirsi per provare, per meravigliarsi e questo gli darà confidenza per esplorare l’ignoto, per apprendere qualcosa cercandolo e non aspettando che venga dato. Sono un grande credente dell’ignoto e questo è quello che sto cercando di realizzare. j u g g l i n g m a g a z i n e n u m e r o 6 4 s e t t e m b r e 2014 5