foto di Brad Doherty
in cui tutto questo cominciò a prendere forma fu
quando cominciai a vedere la sfera come una
metafora per esprimere qualcosa di diverso da
quello che era. Era il periodo in cui mia sorella era
molto malata, trascorrevo tanto tempo con lei e
riflettevo sul fatto che lei fosse viva e che potesse
morire da un momento all’altro. Era come se la vita
fosse la luce che entrava in quella sfera e per preservarla tu non avresti voluto oscurarla. Fu così che
cominciai ad esplorare il senso di “toccare” e non
quello di “controllare”, così la parola chiave per me
era “touch”. Poi questo tipo di manipolazione ha
preso il nome di contact juggling, e possiamo dibattere a lungo su questo, e sicuramente questa definizione può comprende il far rotolare la palla sul
corpo. Ma erano tecniche e concetti che erano già
in giro da tempo, quello per cui mi sento di aver
contribuito personalmente è il senso che io non
potessi aggiungere niente alla bellezza della luce
che entra nella sfera, che rischiassi solo di diminuirne la bellezza; così ho generato una sorta di rispetto per la condizione della sfera, e la possibilità che
quell’oggetto diventasse il veicolo di una metafora;
e questo non lo avevo ancora visto realizzato nel
juggling. Questa è stata la mia influenza su tutto
quello che poi è diventato manipolazione e che
dalle palle si è allargato alle clave, al bastone, etc.
Devi essere un pò pazzo per cimentarti in qualcosa
che non hai ancora visto in giro. Vuoi andare da
qualche parte dove nessuno ti ha detto di andare e
dove non sai cosa accadrà. Siamo tutti esploratori,
ma quando cominciò mi piaceva essere in una condizione in cui sei pronto all’ascolto, ci ho messo
tanto lavoro, focus, attenzione, e alla fine la tecnica
ha cominiciato a produrre risultati.
Eravamo sul finire degli anni ‘70 e ora trenta anni
dopo essere qui alla EJC dove tutti comunicano in
un modo molto amichevole, dove non esiste la
competizione (la mia ultima competzione risale al
1975), dove tutto si fonda sullo scambio reciproco… mi fa sentire nel posto giusto.
Quando ci esibiamo stiamo entrando in una sfera
di comunione. Trasportare le persone in uno stato
d’animo dove non sono state prima, è una celebrazione del sublime, del tocco sublime, che niente
però può controllare in assoluto. Da dove veniamo
come specie, come amiamo coinvolgerci nella
comunicazione, questo è quello che amo. È una
possibilità di crescita interna ma anche di crescita
nella comunicazione e nel rapporto con i simili. Se
invece parliamo solo di copiare una tecnica allora
l’argomento non mi interessa.
Per anni il juggling è stata la cornice all’interno della
quale provavo ad esprimermi. Sentivo che il mio
lavoro all’interno della giocoleria aveva due direzioni: essere il creatore di una nuova forma espressiva
e di nuovi attrezzi. Un vero artista non utilizza le
cose a disposizione ma ne crea di nuove, e volevo
vedere se fossi capace di raggiungere questo. E poi
mi interessava la performance, diventare interprete
delle mie creazioni. Questa collaborazione tra il
creative artist e l’interpreter artist è fondamentale
per una buona riuscita della performance. Ora,
visto che le mie abilità fisiche sono in fase di decrescita mi piace poter esplorare una nuova dimensione. Invece di creare per la giocoleria, vorrei mettere la saggezza acquisita negli anni nei processi di
creazione al servizio di una difficile trasformazione,
quello che considero una pre-digital, analogica, abilità interattiva per l’educazione di massa e l’educazione fisica. Così sto lavorando con studenti nelle
scuole per un’educazione attraverso le arti e non
attraverso le capacità celebrali o l’apprendimento
cognitivo; è più un aprirsi per provare, per meravigliarsi e questo gli darà confidenza per esplorare
l’ignoto, per apprendere qualcosa cercandolo e non
aspettando che venga dato. Sono un grande credente dell’ignoto e questo è quello che sto cercando di realizzare.
j u g g l i n g m a g a z i n e n u m e r o 6 4 s e t t e m b r e 2014
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