Juggling Magazine march 2015, n.66 | Page 12

FIRENZA GUIDI IN CONVERSATION Jug n 66:JUG new 23/03/15 10:44 Pagina 10 foto di Toni Wilkinson www.nofitstate.org www.elanfrantoio.org Sono arrivata al circo dalla porta accanto. Un grande capannone in Dumballs Road a Cardiff, nel Galles. Era il 1995 ed il No Fit State Circus mi aveva chiesto di fare la regia di uno dei loro grandi eventi sito-specifici che coinvolgevano professionisti e non, provenienti da varie discipline artistiche. Era la prima volta che dirigevo un cast di centocinquanta persone, la metà delle quali mi permetteva di dipingere in aria immagini fantastiche, pur rimanendo con i piedi fermamente a terra. Quello spettacolo si chiamava Autogeddon, un poema apocalittico di Heathcote Williams sulla “carneficina-da-auto” e il nostro destino di morire tutti schiacciati in una strada qualsiasi per un motivo qualsiasi. Otto anni dopo, nel 2003, è cominciata l’avventura di Immortal: la mia prima creazione di circo contemporaneo e la prima tournée della compagnia nel suo nuovo fiammante tendone a forma di UFO. La parola circo assume un nuovo significato. Entra nella mia vita. Mi intossica. Fino ad allora il circo per me era una pista circolare dalla quale i clown mi zampillavano addosso le loro lacrime finte e i cavalli di dressage sbarluccicavano di pallettes mentre io affondavo il muso nello zucchero filato. ricerca e creazione bastardo attraverso una lingua che non è la mia. Il mio stesso corpo è un crocevia di culture: Milano, il Padule e le Cerbaie in Toscana, Belfast e il Galles e il resto del mondo: la cultura d’origine e la cultura studiata a scuola; la cultura dei classici, i pop, i manga; la cultura dei viaggi verso isole sconosciute; la cultura che scrive e la cultura che parla. La cultura che prega un dio sempre diverso e invisibile. La cultura dello straniero trapiantato che romanticizza le proprie radici, e la cultura di chi è rimasto a casa. Quando arrivo davanti al cast di Immortal nel 2003, ho già dei cardini fondamentali su cui si costruisce il mio lavoro. Credo fermamente in due cose: la prima, che il performer è una creatura a tutto tondo, un essere che incarna lo scorrere del tempo e possiede una buona dose di auto-ironia. La seconda che lo spazio e il pubblico sono complici e co-creatori nel processo artistico. Per questo motivo la ricerca, visione e anelito di ciascuno spettacolo è quello di creare un universo, piccolo o grande che sia, nel quale lo spettatore entra e vive e non semplicemente guarda da fuori e fagocita arte come fosse un cono di pop-corn. Io non arrivo al circo dal circo ma dal teatro, dalle arti visive, dalla performance, dal film. Al momento in cui ha inizio la creazione di Immortal, ho già sviluppato uno stile di performance basato (anche, ma non solo) su un linguaggio di formazione del tutto personale. La presenza scenica è corpo: non ballerino, non ginnasta, non atleta o break-dancer. Un corpo che parla perché connette tempo, spazio e movimento alla memoria, al desid \