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le grandi doti fisiche dei quattro danzatori e della danzatrice che
esplorano all’infinito le loro possibilità corporee. L’interazione con
la musica è spesso basata sul contrasto tra la drammatica intensità o sacralità del brano e la dissonanza emotiva dei movimenti.
Improvvisazioni strutturate si alternano a coreografie scritte, molto
contact, molto floor work mescolato con acrobatica e gestualità
della danza contemporanea, ritmi accelerati e improvvise lentezze,
vestiti lanciati via che vengono ripresi e reindossati in una totale
libertà. A volte sono i danzatori stessi che vanno ad accendere,
spegnere ed orientarsi le luci l’uno verso l’altro, a sottolineare la
libertà della ricerca sia sull’uso delle luci che dello spazio scenico.
A volte l’ironia viene dal contrasto con la musica, dalla qualità surreale dei movimenti e della mimica, o da un danzatore che disturba il compagno prendendolo in giro in mille modi nel mezzo della
sua azione danzata. O viene dalla voluta deformazione del gesto e
del movimento contro ogni ricerca di bellezza estetica, come a sottolineare l’imperfezione della vita che può tuttavia sempre venire
trasformata positivamente con il gioco, l’ironia, l’allegria. È difficile
non venire coinvolti da tanta energia, anche perché lo spettatore
é espressamente invitato a partecipare e reagire a ciò che avviene
sulla scena, a farsi coinvolgere da questa allegra celebrazione del
corpo danzante, apprezzata con lunghissimi e sorridenti applausi.
A chiudere quest’edizione del Festival, una stella della coreografia
contemporanea: Akram Khan, inglese originario del Bangladesh.
In Itmoi, un progetto che celebra Stravinsky e il centenario del leggendario Sacre du Printemps, attraverso una rilettura coreografica
delle emozioni umane in una scenografia scura e drammatica, si
alternano episodi di bellezza e tragedia, morte e rinascita, sacrificio e resurrezione dell’anima cui