IL MISTERO DI BELICENA VILLCA - prima parte (ITALIANO) IL MISTERO DI BELICENA VILLCA parte 1 - (ITALIANO) | Page 5
Il dottor Cortez ordinò un'immediata dose di Valium,sommergendo la sfortunata Belicena
Villca in un sopore dal quale sarebbe uscita solo un istante per vedere la Morte da Vicino,
come suggeriva l'espressione di tremendo orrore sul suo volto teso, quando fu trovata, già
morta, tre ore più tardi. E qui sorge il mistero; il primo elemento che sconvolse e sorprese
gli esperti poliziotti: dopo aver atteso la paziente, ossia alle 00:00, tutti si ritirarono dalla
cella, essendo stata chiusa dal dottor Cortez, il quale inavvertitamente mise la chiave in
una delle tasche del suo vestito di babbo Natale, scordandosi poi di depositarla nella
bacheca generale delle chiavi. Alle 03.00 della mattina quando l'infermiera,durante la
ronda abituale, notò la mancanza della chiave, nessuno seppe dare spiegazioni. Dedusse
che era stata portata via dal dottor Cortez e, poiché i duplicati si trovavano nell'ufficio dello
stesso dottore, non le rimase altra possibilità che chiamarlo a casa sua. Non fu necessario
farlo, infatti l'operatrice del centralino interno la informò che il dottore si trovava ancora
nell'ospedale, anche se era sul punto di uscire. Avvisato di questo errore, decise di andare
al padiglione e di consegnare la chiave per realizzare una breve ispezione oculare. Cioè,
durante queste tre ore, la chiave, l'unico mezzo per aprire la porta blindata della cella, era
rimasta in possesso del dottor Cortez. Il direttore dell'ospedale era un uomo di
riconosciuta rettitudine, le cui virtù morali erano sempre state esaltate come esempio
degno di emulazione, e di cui, infine, nessuno oserebbe dubitare, neanche l'esperto
poliziotto Maidana che aveva in carico l'investigazione del caso.
Finalmente, il dottor Cortez aprì la porta della cella accompagnato da me e l'infermiera
García esattamente alle 3:05. Un odore penetrante e dolce fu la prima cosa che ci chiamò
l'attenzione. Era una fragranza come un incenso di sandalo o un profumo simile ed era
talmente fuori luogo lì, che ci guardammo perplessi. Questo fu solo un istante, quello che
avvenne dopo concentrò tutta la nostra attenzione.
Belicena Villca giaceva nel suo letto, morta senza dubbio già da un tempo, con il collo
tumefatto a causa dello strangolamento al quale era stata sottoposta. L'arma omicida, una
corda color avorio, era ancora arrotolata sulla sua testa anche se ormai sciolta. E i due
estremi cadevano soavemente sul petto verso un lato del letto.
Era uno spettacolo talmente orribile che l'esperta infermiera García lanciò un grido di
spavento e barcollò indietro, dovetti sostenerla per le spalle, anche se le mie gambe non
si erano del tutto stabili. E non c'era da meravigliarsi; la defunta aveva le mani chiuse sulle
coperte a entrambi i lati del corpo, posizione in cui si trovava nel momento della morte e
che la rigidità del cadavere conservò, fatto che indicava che non si era difesa dal suo
misterioso assassino. Questo dovette infonderle tanto terrore che, anche vedendo che le
passavano il laccio intorno al collo e poi sentendo che lo stesso si stringeva e le chiudeva
la respirazione, riuscì solo ad afferrarsi disperatamente alle coperte. Tale deduzione si
affermava al contemplare il gesto del volto: gli occhi molto grandi ed esorbitanti; la bocca
semiaperta, permetteva di vedere la lingua gonfia, che sembrava frantumarsi in una parola
inconclusa, qualcosa che chissà mai più sarebbe stato pronunciato, chissà la misteriosa
pachachutquiy.
Esporrò adesso il secondo elemento assurdo e irrazionale che, a intervenire con il peso
contundente del fatto concreto, eliminò qualunque speranza di ottenere una pronta e
semplice soluzione. Mi spiegherò meglio. Il fatto incomprensibile che la porta fosse chiusa
con chiave mentre si commetteva il crimine, primo elemento, potrebbe essere ignorato
fissando le ipotesi logiche, anche se improbabili, che l'assassino possedesse un'altra