IL MISTERO DI BELICENA VILLCA - prima parte (ITALIANO) IL MISTERO DI BELICENA VILLCA parte 1 - (ITALIANO) | Página 228

convocati in tal senso; e l’aveva esposta abilmente, in modo che la Chiesa di Roma apparisse come indifferente alla necessità della Nazione francese, come interessata egoisticamente solo nelle sue rendite: mentre la nazione doveva mobilitare tutte le sue risorse per far fronte a una guerra esterna, si pretendeva che accettasse passivamente, "sotto la pena di scomunica", che il clero inviasse forti somme a Roma. Questi argomenti giustificavano di fronte al popolo e ai proprietari terrieri l’editto reale, e predisponeva tutti contro la bolla papale: all'unanimità si richiedeva a Filippo IV di disobbedire la Clericis Laicos, il cui contenuto, secondo i giuristi laici, era manifestamente perversa perché costringeva il Re a non rispettare le leggi del suo Regno. Per Bonifacio VIII, il cui amore per l'oro era pari al suo fanatismo per la causa Golen, la privazione di quelle rendite significava poco meno di una mutilazione fisica, soprattutto quando si aveva la notizia che il Re inglese Edoardo I stava imitando le azioni di Filippo in quanto alla riscossione delle decime ecclesiastiche e ora si preparava a disobbedire anche alla Clericis Laicos e a sequestrare tutte le entrate della Chiesa. Sarà capito meglio il dolore di Bonifacio VIII, se guardiamo alle quantità di reddito in questione: l'Italia contribuiva con 500.000 fiorini d'oro in decime papali; Inghilterra 600.000; e la Francia, che aveva conservato una parte destinata alla crociata contro Aragona, 200.000. Era un fonte alla quale non si poteva rinunciare per nulla al mondo. Perché Bonifacio VIII aveva bisogno di tali quantità? In parte per finanziare la guerra con cui progettava di rompere l’accerchiamento ghibellino che si stava sviluppando in Italia, dove la questione siciliana era ancora in sospeso; e in parte per arricchire se stesso e la sua famiglia, giacché Benedetto Gaetani era perfettamente dotato delle caratteristiche di illimitata ambizione, di scalatore senza scrupoli, di tiranno corrotto; valga come esempio: quando accedette al papato annullò immediatamente le leggi e i decreti di Niccolò IV e Celestino V che beneficiavano i Colonna, trasferendo i titoli in favore della propria famiglia; dal Re Carlo II ottenne per suo nipote il titolo di Conte di Caserta e vari feudi; per i figli di quest’ultimo, quelli di Conte di Palazzo e Conte di Fondi; per se stesso, si appropriò dell'antico palazzo dell'imperatore Ottaviano, convertito all’epoca nella Fortezza militare di Roma, che restaurò e ricostruì magnificamente, impiegando il denaro della Chiesa; la stessa procedura fu seguita con altri castelli e fortezze della Campania e della Maremma, che diventarono suo patrimonio personale; possedeva palazzi, uno più bello dell’altro, a Roma, Rieti e Orvieto, le sue residenze abituali, anche se il più bello e lussuoso era senza dubbio quello della sua città natale di Anagni, dove trascorreva la maggior parte dell'anno; viveva infatti in un ambiente di lusso e splendore che nulla aveva a che vedere con il suo status di pontefice di una Chiesa che esalta la salvezza dell’Anima attraverso la pratica dell'umiltà e della povertà; non aveva scrupoli per concedere cariche e favori in cambio di denaro, cioè, era simoniaco; metteva i soldi, suoi o quelli della Chiesa, sia nelle mani dei banchieri lombardi o Templari per essere a interesse d’usura; non aveva alcuna pietà quando si trattava di raggiungere i suoi obiettivi, qualità che dimostrò di possedere all’assassinare Celestino V, e poi confermata con le sanguinose persecuzioni di ghibellini scatenate in Italia; e per completare questo quadro della sua