IL MISTERO DI BELICENA VILLCA - prima parte (ITALIANO) IL MISTERO DI BELICENA VILLCA parte 1 - (ITALIANO) | Page 203
Federico II, ma prigioniero a vita in un Castello di Bologna dal 1249, il quale sarebbe stato
rapidamente avvelenato per sicurezza. Tuttavia, il gesto di Corradino non sarebbe stato
vano, perché c'erano ancora Cavalieri disposti a combattere contro le forze sataniche: il
guanto viene raccolto da Giovanni da Procida nel nome di Pietro III d'Aragona, marito di
Costanza di Svevia. La figlia di Manfredi, cugina di primo grado di Corradino, era adesso
l'erede legittima dei diritti che la Casa di Svevia aveva sul trono delle due Sicilie e l'unica
speranza del partito ghibellino.
Bisogna vedere nell'azione svolta da allora da Giovanni da Procida, un altro aspetto
dell'opposizione della Saggezza Iperborea ai piani della Fratellanza Bianca, cioè della
causa esoterica del fallimento di questi piani. In effetti, quel grande Iniziato Iperboreo si
rifugiò ad Aragona, insieme ad altri illustri perseguitati da Carlo d'Angiò e dai Golen, e fu
incorporato nella nobiltà aragonese. Il Re gli concesse diverse Signorie a Valencia, da
dove prese contatto con il Circulus Domini Canis e si integrò nella sua Strategia. A lui,
più di ogni altro, corrisponde il merito di aver persuaso Pietro III sulla giustizia della Causa
Ghibellina. Per anni questo Signore del Cane consiglia il Re d'Aragona sugli affari d'Italia e
pianifica il modo per conquistarla; Lo assecondano con animo entusiasta, Costanza, che
desidera vendicare suo padre Manfredi e la distruzione della sua famiglia, Ruggero di
Lauria, Corrado Lancia e altri Cavalieri siciliani non iniziati. Nel 1278 Pietro III si sente
abbastanza forte per mettere in pratica il suo progetto siciliano. Invia allora Giovanni da
Procida in missione segreta in Italia e nel Medio Oriente.
Il Cavaliere siciliano viaggia indossando l'abito dominicano. Incontra i principali
rappresentanti del partito ghibellino italiano e siciliano, che promettono di aiutare il Re
d'Aragona, e nel 1279 arriva a Costantinopoli per accordarsi con l'imperatore Michele
Paleologo, che stava per essere attaccato con una flotta da Carlo d'Angiò. Tuttavia, il fatto
che Carlo d'Angiò non sospetta, è che non esiste in quel momento nel mondo una flotta
più potente dell'armata catalana del re d'Aragona. Il bizantino contribuisce con trentamila
once d'oro a sostenere la campagna e Giovanni intraprende il cammino di ritorno, dopo
aver attraversato l'isola della Sicilia; lì raccoglie l'impegno del nobile Alaimo da Leutini e di
altri per preparare una rivolta contro i francesi; Tutti questi sforzi sono in linea con la
strategia di Pietro III, che vuole evitare uno scontro diretto tra Francia e Aragona e
preferisce che il cambiamento debba sorgere da un complotto locale contro Carlo d'Angiò.
Nel 1281 tutto è pronto per la rivolta quando una manovra dei Golen costringe a
sospendere i movimenti. Carlo d'Angiò forza a Viterbo l'elezione di Simon de Brieu, un
cardinale francese molto informato sui piani della Fratellanza Bianca, che professa un odio
feroce verso la Casa di Svevia e la Causa di Ghibellina. Prende il nome di Martino IV e
immediatamente scatena una terribile persecuzione contro i ghibellini di tutta Italia:
evidentemente i Golen sospettano che qualcosa venga tramato contro Carlo e cercano di