Il Giornale Democratico Nov/Dic 2018 Il Giornale Democratico NovDic 2018 | Page 4
Occidentale e la Comunità si
allarga, tutto ciò su uno sfondo di
benessere collettivo dato dalla
rivoluzione informatica degli anni
’90 e dalle politiche neoliberiste
del decennio precedente. Sembra
di rivivere una sorta di “Belle
Epoque”: sconfitto il pericolo
comunista (quindi l’ansia di un
conflitto nucleare), il mondo torna
a guardare il futuro con ottimismo
e speranza.
I “tempi belli” però finiscono
presto, l’11 settembre e la
successiva amministrazione Bush
rendono gli USA sempre più deboli
economicamente agli occhi del
globo, situazione che porta i leader
del Mondo Libero a concentrare le
proprie politiche economiche sul
mercato orientale e sui conflitti
asiatici, allentando la cinta sulla
Nato e l’Unione Europea (che nel
frattempo ha assunto questa
denominazione e inserito nel
sistema continentale la moneta
unica con i Trattati di Maastricht).
Il “Vecchio Continente” continua a
vivere il suo momento di
espansione politica (allargandosi in
Bulgaria e Romania) ed economica
fino al 2008, l’anno della crisi
economica dagli Stati Uniti che
rischia di far collassare l’intero
sistema bancario continentale.
I governi dei singoli Stati Europei,
per scongiurare questa ipotesi,
impiegano 800 miliardi di aiuti
pubblici in 6 anni nel salvataggio di
istituti di credito ma la crisi, in quel
momento, ha già sortito i suoi
effetti sui cittadini che, oltre a
subire la diminuzione dei posti di
lavoro e il conseguente aumento
della povertà, vengono “colpiti” da
forti flussi migratori provenienti
dal Nord Africa, conseguenza
dell’anarchia che ha seguito la
Primavera araba, con un oceano di
persone che lasciano la propria
patria per entrare in Europa.
L’UE, già alle prese con una forte
polemica sull’austerity, si ritrova
totalmente
impreparata
agli
sbarchi a Lampedusa e nel Mar
Egeo e ciò crea conseguenze
irreversibili sul piano dei rapporti
tra i Paesi membri: dal 2016 si
rialzano i muri, gli steccati, i
controlli ai confini, molti Stati
(Francia,
Ungheria,
Austria,
Bulgaria) iniziano a blindare i propri
territori,
con
buona
pace
dell’accordo di Dublino.
Questi avvenimenti, anche in
Nazioni che si adoperano per
all’accoglienza degli immigrati,
fanno (ri)nascere un forte senso di
“Nazionalismo”
nel
popolo
europeo, corrente che tenderà
subito a fondersi con un'altra
ideologia
appena
nata,
il
“Populismo”. Queste due forme di
pensiero, molto simili e trainate da
un forte stampo di destra, operano
fin
da
subito
una
strumentalizzazione della crisi
migratoria, ampliando la sfera di
risonanza mediatica con fake news,
condivisioni di bufale online
(quindi difficilmente controllabili e
dirette alla pancia dell’elettorato) e
con tantissime manifestazioni di
piazza, in cui non c’è spazio per le
idee e il confronto costruttivo, in
cui campeggiano toni aggressivi e
proclami, con l’obiettivo di
distruggere il pensiero avversario,
più che crearne uno nuovo.
Il “NazionalPopulismo” nasce dal
basso, dall’opposizione, dalla
mancanza di fiducia nel potere. Ciò
Dicembre 2018
ha permesso di cavalcare l’onda
della protesta popolare, mentre a
Roma, Bruxeless, Berlino, ecc. si
cercavano risposte concrete per
fermare il traffico di vite umane nel
Mediterraneo (il trattato tra Italia e
Libia ne è l’esempio), rendendo la
classe dirigente, agli occhi
dell’elettorato,
gli
interessi
popolari a quelli comunitari. Da qui
arriva la spaccatura tra “noi e loro”:
l’Europa non viene più vista come
la grande casa comune simbolo di
pace e crescita socio-economica
per contrastare i “macrostati”
globali, ma diventa, agli occhi dei
più, solo una “macchina” a due
velocità per permettere ai due
principali Stati (Germania e
Francia) di arricchirsi alle spalle del
resto della comunità. L’importanza
delle prossime elezioni Europee si
concentra
proprio
nella
“disillusione dell’Europa” dei
principi, dei sistemi economici e
delle idee politiche che la
caratterizzano. Da qualche anno
stiamo assistendo a larghissime
vittorie dei movimenti “populisti”
sui vecchi sistemi demo-centristi,
dalla Brexit (emblema della politica
sovranista) alle elezioni dello
scorso 4 marzo in Italia (con i due
partiti storici, FI e PD, che hanno
chiuso la tornata elettorale con un
misero 34% dei consensi, meno
della metà di quanto raccolto solo
10 anni prima), fino alla vittoria di
Donald Trump, un “voto di
protesta”, un “uomo del popolo”,
una “voglia di cambiamento”
nonostante il presidente attuale sia
un
71enne
multimiliardario,
evasore fiscale, filorusso, sessista e
senza alcun precedente in politica.
Più che un “cambiamento” sembra
Alburni
Il Giornale Democratico
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