le lasagne di zia, roba che lui una cosa così non l’ ha mai assaggiata... Tuttavia la realtà dell’ export è molto lontana dalla favoletta appena rappresentata. Il fatto positivo, molto positivo, è che ad oggi praticamente in tutto il mondo si beve vino( fatta eccezione per quei pochi Paesi che per motivi religiosi e culturali non consumano bevande alcoliche). Altro fatto positivo è che si stanno sviluppando trend di crescita paurosi, con incrementi che raggiungono le due cifre. Per qualche motivo il mondo si sta accorgendo del vino in generale e del vino italiano in particolare, quindi quei produttori che stanno investendo risorse per cercare di vendere all’ estero in linea di massima non stanno buttando via i loro soldi. Però, visto che siamo abbastanza sicuri che il Principe Azzurro non esista, bisogna capire a fondo come meglio muoversi. Lontano dal voler essere un manuale
dell’ export da seguire pedissequamente, questo articolo vuole tuttavia sottolineare alcuni punti di semplice buon senso, che potrebbero aiutare i produttori a capire meglio cosa fare. Innanzitutto, bisogna dire che avere l’ obiettivo di vendere all’ estero significa essere un po’ vaghi. L’ estero, per definizione, è tutto ciò che è fuori dai confini italiani: nordeuropeo, Russia, Cina, Stati Uniti, ma anche Africa, sud America e via dicendo. Quindi, a meno di non essere una multinazionale, è irrealistico, oltre che ingenuo, pensare di poter arrivare ovunque. Questo perché il vino non è solo uva fermentata. Il vino è principalmente un prodotto che essere apprezzato e, soprattutto, comprato, richiede una certa sintonia culturale. Le prime domande da frasi sono quindi le seguenti: siamo in sintonia con i gusti e le abitudini delle nazioni nelle quali vogliamo far bere il nostro vino? Sappiamo come raccontarci, come sfruttare il
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