I Meccanismi d' azione dei Farmaci June. 2015 | Page 48
difficile prevedere quali pazienti potranno trarre effettivi benefici di queste procedure
anche in relazione al loro intrinseco potenziale di morbidità.
In ogni caso, il ricorso alla depurazione extracorporea è concettualmente giustificato
solo per le sostanze che hanno caratteristiche farmacocinetiche compatibili. Per i
tossici con spiccata tendenza alla diffusione nei tessuti, forte affinità per le proteine
plasmatiche e ampio volume di distribuzione, è poco probabile che l'aumento della
clearance determinato dalla emodialisi o dalla emoperfusione si associ a risultati
clinicamente significativi, data la modesta frazione della dose che si trova in forma
libera nel circolo.
L'eliminazione extra-corporea può invece risultare vantaggiosa negli avvelenamenti
gravi da sostanze quali teofillina, paracetamolo, tricloroetanolo, cloralio idrato, e certi
barbiturici che, ad alte dosi, presentano una cinetica di eliminazione non lineare. Per
queste sostanze, quanto più alti sono i livelli ematici tanto meno efficiente sarà la loro
clearance endogena e perciò più consistenti dovrebbero essere i benefici della dialisi
e dell'emoperfusione.
Nelle iniziali esperienze sulla depurazione extracorporea applicata alla tossicologia
clinica, l'efficacia delle singole tecniche è stata valutata quasi esclusivamente sulla
base del giudizio clinico, senza alcun reperto analitico che desse supporto alle
conclusioni tratte del ricercatore. In tempi più recenti, gli effetti della dialisi e della
emoperfusione sono stati spesso valutati con criteri farmacocinetici. Purtroppo, nei
lavori su questo tema si trovano spesso due tipi di errori che complicano la lettura dei
risultati. Gli effetti vengono valutati tenendo conto delle variazioni della emivita
plasmatica piuttosto che in base alla quantità totale di tossico estratta dal plasma in un
certo periodo di tempo. Tale criterio è inadeguato in quanto tende ad ignorare sia la
caduta dei livelli plasmatici assoluti che caratterizza la fase di distribuzione, sia
l'aumento "rebound" delle concentrazioni plasmatiche che, al termine del trattamento,
riflette il richiamo della sostanza dai depositi tessutali. Imprecise sono anche le
valutazioni basate sul confronto tra le quantità complessive di tossico eliminate in
presenza o in assenza del trattamento extracorporeo, dato che la dose presente
nell'organismo allorché il trattamento viene istituito risulta quasi sempre sconosciuta.
Avvelenamenti da formulazioni farmaceutiche a lento rilascio
L'impiego in medicina di preparati a lento rilascio è sempre più diffuso. L'ingestione
di dosi tossiche comporta speciali problemi date le peculiari caratteristiche cinetiche
dei principi attivi di queste formulazioni. L'assorbimento è di solito più lento e
prolungato, e il picco di concentrazione viene raggiunto non prima di 24-36 ore. La
tossicità si manifesta dopo un periodo di latenza più o meno lungo e le manifestazioni
regrediscono piuttosto lentamente al termine della fase acuta a causa
dell'assorbimento protratto della sostanza nel lume intestinale. Esempi di farmaci
utilizzati in formulazioni orali a lento rilascio sono la teofillina, la proclorperazina, la
fenilpropanolamina, il litio e gli antiaritmici procainamide e disopiramide. Nella
terapia dell'avvelenamento hanno importanza la somministrazione ripetuta di carbone
e l'irrigazione intestinale, da istituirsi possibilmente già nella fase pre-sintomatica, al
fine di limitare la quantità di principio attivo che passa in circolo.
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