I_Canti_di_Castelvecchio Canti di Castelvecchio | Page 46

Fecero un ponte: l’uno chiappò l’altro per le gambe, e così tremolò sopra l’acqua una lunga tavola. Fu presa la munita città, presi i fanciulli, ch’or sono schiavi e fanno le faccende; e il vincitore campa a campanello». E qui la China, madre d’otto figli già sbozzolati, accoccò il filo al fuso, mise il fuso sul legoro, le tiglie si strusciò dalla bocca arida; e disse: «Io l’ho vedute, come fanno ai figli le madri, ossia le balie. Hanno figlioli quasi fasciati dentro un bozzolino. Lo sa la mamma che lì dentro è chiuso il lor bege tto, ch’è cicchin cicchino, e dorme, e gli fa freddo e gli fa caldo. Lasciano all’altre le faccende, ed esse altro non fanno che portare il loro furigello ora all’ombra ed ora all’aspro, in collo, come noi; ch’è da vedere come via via lo tengono pulito, come lo fanno dolco con lo sputo; e infine con la bocca aprono il guscio, come a dire, le fasce; e il figliolino n’esce, che va da sé, ma gronchio gronchio». Così parlando, essi bevean l’arzillo vino, dell’anno. E mille madri in fuga correan pei muschi della scorza arsita, coi figli, e c’era d’ogni intorno il fuoco; e il fuoco le sorbiva con un breve crepito, né quel crepito giungeva al nostro udito, più che l’erme vette d’Appennino e le aguzze Alpi apuane,