I_Canti_di_Castelvecchio Canti di Castelvecchio | Page 45

nel bel soppiano dai due godi il grano». E disse il Bosco, buon pastor di monte, ch’era ad albergo: egli da Pratuscello mena il branco alla Pieve, a quei guamacci: per là dicon guamacci: è il terzo fieno: «Ho inteso dire ch’hanno le sue bestie: quali, pecore, e quali, proprio bestie, ossia da frutto, ovvero anche da groppa. Ma piccoline e verdi queste, e quelle con una lana molle come sputo: pascono in cento un cuccolo di fiore. E il pastore ha due verghe, esso, non una: due, con nodetti, come canne; e molge con esse: le vellìca, e dànno il latte; o chiuse dentro, o fuori, per le prata: come noi, che si molge all’aria aperta, nella statina, le serate lunghe: quando su l’Alpe c’è con noi la luna sola, che passa, e splende sui secchielli, e il poggio rende un odorin che accora». E disse il Quarra, un capo, uno che molto girò, portando santi e re sul capo, di là dei monti e del sonante mare: ora s’è fermo, e campa a campanello: «Lessi in un libro, ch’hanno contadini come noi; ma non come mezzaiuoli timidi sol del Santo pescatore, e che, d’ottobre, quando uno scasato cerca podere, a lui dice il fringuello: - Ce n’è, ce n’è, ce n’è, Francesco mio! - Quelli no, sono negri. Alla lor terra venne un lontano popolo guerriero, che il largo fiume valicò sul ponte.