Hegel_Elena.pdf Nov. 2014 | Page 6

porre tra religione e filosofia, tra fede e scienza, un rapporto di conciliazione. Dunque, nella sua prima formulazione del concetto di ‘Assoluto’ presente tra le righe in questi manoscritti, Hegel vede sì come organo specifico la religione e non la filosofia, ma il processo non è a senso unico, ossia il movimento della filosofia non termina nella religione, ma anche viceversa. Certo, una difficoltà cui la critica va incontro, oltre alla frammentarietà, è anche la differenza concettuale, che non sfugge al lettore, tra i manoscritti dei primi anni in cui Hegel soggiornava a Tubinga e a Berna e lavorava per lo più privatamente e quelli del più tardo periodo francofortese ormai prossimo agli anni intorno al 1800, in cui matura il distacco dal pensiero di stampo prettamente religioso e ancora vicino alle concezioni kantiane di morale e religione per avviarsi verso la costruzione del pensiero filosofico della maturità che culminerà nel ‘sistema’. Chi però, come per esempio Rudolph Haym, legge addirittura un salto dal pensiero storico e teologico predominante fino al periodo di permanenza di Hegel a Francoforte e quello sistematico e logico del successivo periodo di Jena, durante il quale viene composta la “Fenomenologia dello spirito”, si riferisce più che altro al metodo usato da Hegel per tradurre i risultati delle sue ricerche storico-religiose in termini speculativi. Storicamente è cambiato il contesto in cui Hegel si muove. Quando egli scriveva a Schelling in una lettera datata 2 novembre 1800 di voler mutare “l’ideale degli anni giovanili in una forma riflessiva, in un sistema”, era ormai consapevole del mutato clima politico e civile della Germania in cui il suo tentativo di riformare profondamente e dall’interno la vita politica, culturale e spirituale del Paese attraverso quel rapporto instaurato e creduto negli anni intorno al 1790 (il periodo di Tubinga e Berna) tra la ‘rivoluzione’ (il cosiddetto giacobinismo giovanile di Hegel) e la ‘filosofia kantiana’, nella quale fino a quel momento aveva visto l’unica filosofia capace di cambiare il mondo di allora, era ormai chiaramente fallito. A Jena, si maturerà il definitivo distacco e la presa di distanza di Hegel da Kant e anche dalle filosofie del suo tempo. Se dunque di misticismo si può parlare, a proposito degli scritti giovanili hegeliani presi nel loro complesso, malgrado la profonda differenza di pensiero che caratterizza ognuno di essi, non è nel senso della mistica di stampo panteistico indicata da Dilthey, quanto piuttosto come di mistica speculativa, razionale, secondo la più felice definizione di Feuerbach. Resta comunque indiscusso il merito di Dilthey di aver visto in questo insieme di pensieri giovanili “un documento unico di un pensiero filosofico in formazione” e l’influenza che essi avrebbero avuto non solo sulla filosofia successiva, ma anche sulla stessa storia ecclesiastica, da cui il giovane Hegel era partito per cercare di penetrare, attraverso questa, nel mondo storico e per comprendere la stessa storia universale, come la chiamerà più tardi. Malgrado non sia qui il luogo per approfondire il discorso sulle differenti interpretazioni critiche che sono state date relativamente a questi scritti giovanili, è fuor di dubbio che la lettura di essi risente ed è in parte influenzata da una interpretazione critica piuttosto che da un’altra: e queste pesano anche sulla lettura dei singoli scritti che, uniti a formare un corpo unico dal Nohl, non presentano una altrettanta unità interna ed evidenziano tra di loro notevoli differenze concettuali e metodologiche, pur essendo legati dal filo conduttore dello studio hegeliano rivolto alla religione, in particolare al Cristianesimo, nel quale egli vede una spiritualità che si è snaturata quando ha perso il contatto con la spontaneità della natura e dei rapporti tra gli uomini e con la libertà del sentire che era propria del mondo greco. La religione cristiana, definita da Hegel positiva, laddove questo aggettivo sta a significare la perdita di spontaneità di essa e la sua soggezione all’esteriorità del culto e alla prescrittività delle leggi religiose, considerate al pari