attraverso i concetti dell’hegelismo. Ma se questi gruppi di destra e di sinistra seguirono, seppur
criticamente, gli insegnamenti di Hegel, vi fu anche un nutrito gruppo di pensatori, tra cui
Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche, che invece si pose contro l’hegelismo, rivendicando la natura
irrazionale della realtà; e un’altrettanto folta schiera di anti-hegeliani sostenitori di un razionalismo, sì, ma
di stampo positivistico e scientifico. Dunque, “La nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del
crepuscolo”, frase con la quale Hegel intendeva dire che la “sua” filosofia chiudeva per sempre la “storia
del pensiero” è stata ampiamente sconfessata. Eppure, anche se da versanti opposti e molto diversi tra
loro, un tratto è comune a tutti i filosofi che si muovono “dopo Hegel”: e cioè che per tutti loro la
filosofia hegeliana resta il punto di riferimento.
Ma qui il discorso si farebbe troppo lungo e porterebbe ben oltre lo scopo di questo lavoro, ossia
quello di leggere con attenzione specifica solo l’opera degli anni della formazione hegeliana
contraddistinti dal suo interesse religioso, seppur di natura più storico-religiosa che propriamente
teologica. Grazie ad Hegel si è potuto pensare, nella Germania di fine 1800, ad un rinnovamento del
cristianesimo nel senso di una sua apertura alla modernità. Infatti con la scuola di Tubinga, di forte
dipendenza dal suo pensiero e con il protestantesimo liberale si avvia uno studio del cristianesimo
come realtà da esaminare con gli stessi metodi di qualsiasi altro fatto storico. Certo, nella storia il
protestantesimo si è sempre dimostrato molto più aperto ad una ‘riforma’ del cristianesimo rispetto
alle posizioni rigide e chiuse tenute dal cristianesimo ortodosso e da quello cattolico, apertura che ha
pagato a caro prezzo; ma dopo Hegel la consapevolezza storica e scientifica anche all’interno del
pensiero religioso assume una importanza maggiore.
Risale invece agli anni del 1900 l’interesse degli studiosi per il giovane ‘teologo’ che col suo pensiero
ha ispirato teologi come in particolare l’ultimo Karl Barth e, oggi, Hans Küng che recentemente
insistono su una Cristologia di marca hegeliana, proprio grazie al “carattere di storicità che presenta il Dio
hegeliano”13, e che per questo carattere non può non presentare in sé anche l’idea del ‘male’, del
‘negativo’ legati a loro volta al carattere ‘relazionale’ e trinitario, nel momento della sofferenza di Cristo
sulla croce e del suo sentirsi per un attimo abbandonato dal Padre (è lo ‘scandalo’, la demistificazione
di Dio nella stultizia crucis). Ed Hegel, nelle memorabili pagine della Fenomenologia dello Spirito parla
di un “essere presso di sé dello Spirito pur nell’assoluta devastazione”. Egli ha riflettuto sul ‘senso’ e sul ‘segno’
della croce, riconoscendo nello specifico cristiano anche l’istanza di una comprensione dello Spirito a
partire dalla sua relazione all’altro, a partire da un soggetto che si esplica in quel gioco dell’amore in sé
e con l’altro da sé che abbiamo trovato tra le pagine giovanili, capace di rileggere nel segno
dell’Incarnazione e della Croce la ‘connessione storica’ di fede e sapere.
Cristianesimo e cultura sembrano dunque i due momenti sui quali Hegel fonda il suo sistema, non
dimenticando tuttavia che per il filosofo di Stoccarda ragione e libertà restano le parole d’ordine e il
‘punto d’incontro’ con la chiesa invisibile. E il Dio di Hegel, attraverso la via ‘dialettica’ dello Spirito,
come il Dio cristiano, si rivela in una sorta di ek-stasis verso l’altro, verso il creato, tanto che la creazione
diventa l’elemento che unisce i ‘divini tre’ nell’evento trinitario. Anche l’atto della creazione non è che
l’atto d’amore più elevato: ma è sempre per mezzo dell’amore, di quell’amore-concetto ‘incarnato’ nella
figura di Cristo che ha permesso ad Hegel di superare la scissione kantiana tra moralità e inclinazionesentimento, o dell’amore inteso in senso agostiniano come “regula caritatis”, che si rivela agli uomini il
significato della Trinità. Hegel non ha ignorato che l’esito trinitario del pensiero cristiano ha in
qualche modo ridisegnato anche il rapporto tra ‘ragione’ e ‘rivelazione’ e con la sua visione della storia
egli fornisce quasi una sorta di secolarizzazione della teologia trinitaria, in cui la dialettica serve per
rendere ragione della sua ermeneutica trinitaria. La morte di Cristo viene a rivelare la natura intrinseca
di Dio, ma anche quella dell’uomo che, attraverso Cristo, può riconoscere Dio come intimo a se stesso.
P. Coda, Il negativo e la Trinità. Ipotesi su Hegel, Città nuova, Roma 1987. “La teologia cristiana - dice Coda - ha spesso assunto una
mediazione ermeneutica per dire il Dio cristiano non corrispondente a categorie proprie di Dio, dimenticando talora la storicità e talora riducendo
la stessa Incarnazione di Gesù ad una sorta di ruolo recitato dalla seconda persona celeste, nonostante la grande Tradizio ecclesiale avesse espresso
una poderosa e intensa teologia trinitaria, basti pensare ad Agostino in ambito occidentale. Hegel ha recuperato decisamente la dimensione della
storicità, tanto che un teologo cattolico come Hans Küng vi ha ravvisato i prolegomeni di una cristologia, come si può evincere dalla sua opera”.
(l’opera originale di Küng porta il titolo: Menschenwerdung Gottes. Eine Einführung in Hegels theologisches Denken als Prolegomena zu
einer künftiger Christologie, Freiburg 1970).
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