Hegel, nonostante avesse espresso una posizione concorde con la programmazione didattica bavarese, si scandalizzò
della pretesa di Niethammer : “In pratica nel pensiero speculativo non vedo nulla da capire se non la trattazione dei reali, puri
concetti nella loro forma speculativa”. In questa critica appare evidente che ciò non vale solo per Niethammer. Già al
tempo di Jena, Hegel notava contro Kant : “Si sostiene con ammirazione che Kant insegnasse non la filosofia ma il filosofare ;
come se qualcuno insegnasse a far tavoli, ma non a fare un tavolo, una sedia, una porta, un armadio ecc.”. Nel parere di Norimberga,
la polemica di Hegel si volge infine contro i divulgatori di Kant : “Secondo una mania moderna, specialmente della pedagogia,
non si deve tanto essere edotti nel contenuto della filosofia, quanto imparare a filosofare senza contenuto ; cioè approssimativamente : si
deve viaggiare e viaggiare, senza imparare a conoscere le città, i fiumi, le regioni, gli uomini ecc.”. E Kant aveva preteso che lo
studente dovesse “imparare non il pensiero, ma a pensare”. Così scrive ancora Hegel a Niethammer : “Non si può pensare
senza pensieri, non concettualizzare senza concetti. Si impara a pensare per la ragione che si accolgono pensieri nella mente, a
concettualizzare perché si accolgono concetti. Pensieri e concetti devono... essere appresi”.
Ora chi ha ragione, Kant o Hegel ? In questo saggio, senza considerare la situazione storica, è stata posta la domanda
decisiva, ed in linea di massima è venuto a cadere il giudizio inizialmente favorevole a Kant . Ciò apparve più chiaro
quando furono portati in campo, esclusivamente per questo, i principi filosofici immanenti. Dal tempo della Critica di
Kant, l’argomentazione unanime è che la filosofia non possa più essere insegnata, in quanto essa esisterebbe ormai
solo come capacità e attività. In realtà Kant, nella forma di un testo scolastico impegnativo, col quale alluse al declino
della filosofia di Wolff, ha attribuito la sua posizione alla mancanza di una filosofia universalmente valida. Qui è
evidente la conclusione che Hegel, con la sua posizione sulla possibilità di insegnare la filosofia, non aveva in mente
altro se non introdurre il proprio sistema filosofico come nuova filosofia scolastica. Analogamente, in una delle più
recenti ricerche sulla storia della didattica della filosofia, si dice : “Alla presentazione di sistemi insegnati un tempo, di
Aristotele o di Leibniz e Wolff, Hegel sostituì, già a Norimberga, il suo sistema. Come prima, nonostante i pareri autorevoli di Kant, si
faceva filosofia come lezione bell’e pronta... non si discusse più dell’introduzione al filosofare. Ciò che Kant aveva messo in luce come
nuova grande possibilità di didattica della filosofia, venne, per il momento, sepolto”. Chiaramente qui si proietta la problematica
della didattica della filosofia nella repubblica federale, piuttosto che occuparsi di un’interpretazione della situazione
storica. Si imputa a Kant una autolimitazione scettica, che oggigiorno è diffusa, ma che non fu imposta dallo stesso
Kant.
Una così facile contrapposizione fra Kant ed Hegel non è mai esistita. Né per Kant, che anche dal principio della sua
critica non si fece distogliere dal tenere lezioni sulla logica, l’antropologia, il diritto e la morale, nelle quali trattò molto
bene, sistematicamente, una dottrina. In questo non c’è alcuna differenza con Hegel. E anche i successori di Kant
non hanno temuto - come mostra l’esempio di Fries - di insegnare la filosofia kantiana senza dover per questo dover
abbandonare il punto di vista della critica. Se nella scuola si insegna o meno filosofia, dipende piuttosto dalle
‘esigenze di formazione politica’, che da motivazioni immanenti alla sola filosofia.
Altrettanto poco si può comprendere la posizione di Hegel, se la si concepisce quale semplice contrapposizione a
Kant. Si può anzi dimostrare che Hegel, in fondo, ebbe davanti agli occhi lo stesso fine di Kant. “Imparare a pensare
speculativamente...”, scrive a Niethammer, “deve perciò essere considerato un fine necessario”. Ed in una prolusione ginnasiale
esortò ad un lavoro più costante ed autonomo, “affinché i giovani siano trasportati dalla pura comprensione all’attività
spontanea, allo sforzo personale. L’apprendimento come pura ricezione e fissazione di cose nella memoria è dunque un lato estremam