diverse anche oggi - nel regno della rappresentazione che ogni uomo, per cultura ed educazione, si fa della
realtà in cui vive, si manifesta per ciò che è: un’insanabile contraddizione, che solo il mutamento
rivoluzionario, passante attraverso la formazione culturale, potrà spazzare via. Perché ciò realmente
avvenga, tuttavia, è indispensabile che la maggior parte di coloro che partecipano a questo sistema
socio-economico-culturale, nel ruolo di liberi ed anche in quello di schiavi, “abbiano rivoluzionato” il
proprio modo di interpretare il reale, facendo propria la nozione di umanità non solo in maniera
esteriore, bensì acquisendo coscienza di sè (Selbstbewußtsein) in quanto uomini, partecipi del concetto di
umanità e pertanto necessariamente partecipi - soggettivamente ed oggettivamente - di quello di libertà.
In altri termini, nella mia rappresentazione della realtà avrò coscienza del fatto che solo se tutti gli altri
uomini saranno liberi, il concetto della mia stessa, personale umanità sarà pienamente realizzato.
La filosofia hegeliana diventa così strumento al servizio del mutamento delle condizioni materiali della
società: del presunto solipsismo panlogista, di cui Hegel è stato più volte a torto accusato, rimane
veramente ben poco. Se quest’accusa reggesse, peraltro, ci si dovrebbe chiedere come mai le dottrine
cristiane reazionarie ed irrazionaliste (a cominciare da Kierkegaard fino a Rosmini) si siano a più riprese
scagliate contro la filosofia hegeliana, da esse considerate la più grave forma di hybris antireligiosa che
l’uomo abbia mai concepito. L’animosità di questi bigotti contro il prometeismo hegeliano si giustifica
solamente se esso viene interpretato per quello che realmente è: la formulazione più completa
“dell’unione dialettica fra teoria e prassi, Sein e Sollen, finito ed infinito”; ed allo stesso tempo,
“l’eliminazione di ogni orizzonte escatologico”, di ogni Aldila’ o Terra Promessa: ecco il senso della
teologia storica hegeliana.
Ma vediamo ora, concretamente, come insegnava Hegel, qual era cioè il suo metodo di insegnamento, la
sua pratica didattica, lo stile della sua lezione, confrontandolo, nella nostra mente, con l’attuale
metodologia didattica. Molto chiaro e approfondito si rivela, per l’occasione, un articolo reperito in
Comunicazione filosofica n.2, la rivista telematica della Società filosofica italiana, scritto dal Prof. Rhobeck
ed estratto da un suo saggio11:
“Il modo in cui Hegel, come rettore di Ginnasio a Norimberga, teneva lezione ai suoi studenti in “Propedeutica
filosofica” potrebbe suscitare, nell’attuale insegnamento della filosofia, poco più che meraviglia. Uno sguardo agli
scritti di Norimberga mostra che Hegel presentò il suo sistema filosofico più o meno facilmente in versione ridotta,
dopo averlo reso - come egli dice - in “forma più popolare e accessibile” . Come, praticamente, queste lezioni si siano
articolate, ci viene riferito da un allievo di Hegel :“Dopo alcune parole introduttive, egli dettò un paragrafo sul tema, lo fece leggere
ad alta voce da uno studente e lo spiegò... Dopo di che fece mettere per iscritto la parte essenziale della spiegazione. Ciò che era stato scritto
doveva, poi, essere messo in bella copia a casa e... confrontato. All’inizio dell’ora successiva, faceva leggere ad uno studente la sua versione
e, all’occorrenza, la correggeva e vi faceva seguire, da parte sua, ulteriori spiegazioni e risposte a domande”.
E in una lettera “Sul rapporto circa la preparazione alle scienze filosofiche nel ginnasio” che egli già nel 1812 aveva
scritto all’ispettore scolastico centrale della Baviera Niethammer,12 dice espressamente :“Il metodo di divulgazione, con una
filosofia densa di contenuti, non è altro che l’apprendimento. La filosofia deve essere insegnata ed appresa bene come ogni altra scienza...
L’insegnante lo possiede (il contenuto) ; egli vi pensa prima, gli studenti dopo”.
Evidentemente Hegel tratta la filosofia nella scuola come un’astratta materia di lezione che deve essere assunta prima
di tutto a memoria. Resta incomprensibile come la filosofia, che ha indagato la vita, lo sviluppo e l’autonomia dello
spirito, sia in grado di esporre il suo oggetto, nella lezione scolastica, senza rapporti genetici. Ma soprattutto, il
metodo didattico di Hegel contrasta con i nuovi fondamenti della didattica della filosofia. C’è ampio consenso nel
fatto che nella lezione di filosofia non si debba presentare una teoria bell’e pronta, ma che gli studenti debbano essere
soprattutto interessati alla materia e il più possibile guidati al pensiero autonomo, mentre imparano a formulare
problemi ed a discutere possibilità di soluzioni nella discussione collettiva. Di fronte a tali criteri, la “Propedeutica
filosofica” di Hegel appare addirittura anti-didattica.
La lezione di filosofia di Hegel meriterebbe di essere commentata solo se si osservasse che un simile stile di lezione
sia appunto appartenuto al passato, e che comunque lo stesso Hegel non abbia provato interesse per le questioni
didattiche. È noto come Hegel, ancora da rettore, abbia intensamente aspirato ad una cattedra universitaria, così che
avrebbe potuto cogliere, nella lezione scolastica, l’occasione per portare avanti i propri studi filosofici. Questa
supposizione, fra l’altro, è suffragata dal fatto che l’intero sistema hegeliano, al tempo di Norimberga, ha subito
vistosi cambiamenti che si possono ricondurre al disordine dei programmi scolastici.
Entrambe le riflessioni sono, tuttavia, false. Nella Germania dell’inizio del XVIII secolo si era compiuta una profonda
rivoluzione della pedagogia, che aveva condotto anche a nuovi metodi di lezione. E Hegel non ha affatto ignorato
Si veda il saggio di J. Rhobeck in versione integrale, pubblicato in “Dialektik 2”. Hg. von B. Eichmann, Koln 1981,
pp.122/137.
12 F. I. Niethammer fu dal 1807 consigliere scolastico centrale presso il Ministero dell’Interno a Monaco di Baviera, dove
attuò la riforma dei ginnasi bavaresi.
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