questo considerare); la vita pensante allora trae fuori dalle forme mortali e transeunti, da ciò che
infinitamente è opposto a sé e lotta contro di sé, il vivente libero da ciò che è transeunte; dalla
molteplicità trae fuori la relazione, ma senza ciò che nella molteplicità è morto, trae non un’unità, una
relazione pensata, ma una vita tutto-vivente, onnipotente, infinita, che chiama Dio; essa non è più
pensante o considerante, perché ‘il suo oggetto non porta in sé niente di riflesso’, niente di morto.
Questa elevazione dell’uomo non da finito a infinito (poiché questi sono solo prodotti della semplice
riflessione, e la loro separazione come tale è assoluta), ma da vita finita a vita infinita è la religione. La
vita infinita può essere chiamata spirito, poiché esso è l’unità vivente del molteplice […]. Lo spirito è la
legge vivificante in unione con il molteplice che ne è vivificato […]. Se qui il molteplice….si presenta
esplicitamente come in relazione con lo spirito vivente, come organo, con ciò resterebbe pur sempre
qualcosa di escluso, resterebbe quindi un’imperfezione, un’opposizione, cioè un qualcosa di morto; in
altre parole, se il molteplice è posto in relazione solo come organo, l’opposizione stessa è esclusa; ma
la vita non può essere considerata solo come unificazione, relazione, anzi deve essere considerata
anche come opposizione.
Nell’intero vivente sono posti al contempo la morte, l’opposizione e l’intelletto: posti cioè come un
molteplice che è vivente e che come tale può porsi come un intero, mentre è al contempo una parte.
Questo esser-parte del vivente si toglie nella religione […]. La filosofia deve quindi terminare con la religione
proprio perché è un pensare, e possiede quindi sia l’opposizione con ciò che non è pensiero, sia
l’opposizione fra pensante e pensato; in ogni finito essa ha da mostrare la finitezza e da richiederne il
compimento per mezzo della ragione; essa ha particolarmente da riconoscere le illusioni che
dipendono dall’infinito a lei proprio, e porre così il vero infinito fuori del suo ambito. L’elevazione del
finito all’infinito si caratterizza come elevazione della vita finita alla vita infinita, come religione, proprio
per il fatto che essa non pone l’essere dell’infinito come un essere ad opera della riflessione, soggettivo
o oggettivo che sia”.
Hegel, Frammento di sistema (del 14 settembre 1800), in op. cit., pp.497/500
Commento
Con questo testo riportato qui sopra, che non sembra aver bisogno di molti commenti, non perché sia
di facile e immediata comprensione, ma perché tutto quello che c’era da dire sul percorso giovanile di
Hegel è stato detto e illustrato ampiamente attraverso le parole stesse del filosofo, attraverso i testi più
significativi scelti per mettere in luce questo suo cammino, peraltro, come hanno detto molti critici, un
cammino inverso a molti altri pensatori che sono arrivati alla teologia attraverso la filosofia, mentre lui è
partito dalla teologia, pur nella veste particolare che ho cercato di chiarire, per giungere alla sua
filosofia.
Si tratta di un testo pervenutoci lacunoso e frammentario, che mostra tuttavia una tale coerenza
interna e una tale pregnanza di concetti da far ritenere che forse non di frammento si trattava, ma di
un vero e proprio scritto, anzi di un’opera in cui Hegel “esponeva l’intero sistema della sua filosofia, già
delineato nel 1800” (questa è la tesi sostenuta da Nohl, sulle orme di Dilthey, osteggiata però da altri
critici, come lo Haering). Che sia vero ciò che ha visto Nohl in quest’opera mutilata o che non sia
vero, a proposito della presenza, già in essa, del pensiero filosofico hegeliano quasi completo e ben
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