Qui Hegel non confronta più il Cristianesimo con la religione popolare dei Greci, bensì con quella
‘religione naturale’ che si trova spontaneamente in ogni uomo, ma che è destinata, con la
civilizzazione, a sparire per lasciare il posto ad una religione positiva, non per forza il Cristianesimo,
anche se quest’ultimo merita più di altre religioni questo aggettivo per la capacità che ha avuto di
adattarsi ai tempi della storia e di calarsi nelle istituzioni proprie di uno stato, fino a farle proprie o a
crearne altre a queste parallele e similari.
Secondo Hegel ad un attento esame, la religione cristiana era positiva fin dal suo sorgere, a causa dei
fattori ambientali, dei pregiudizi e della chiusura del popolo ebraico, della lettura e dell’interpretazione
che gli apostoli fecero del messaggio di Gesù, il quale, pur non condividendo le idee del suo popolo,
dovette poi piegarsi alle loro usanze e leggi per cercare di farsi comprendere (un esempio di ciò sono i
miracoli, utilizzati come mezzo per ottenere la fiducia degli ebrei, che hanno reso positiva la religione
di Gesù).
La seconda parte della stesura originaria è invece tesa a dimostrare che quanto più la religione esce
dall’ambito che le è proprio, che è quello della privatezza, e si fa religione pubblica, religione di uno
stato, tanto più la sua positività si manifesta ed urta contro la libertà dello stato stesso e del cittadino;
essa arriva ad assumere le dimensioni stesse dello stato, e allora sorge di necessità tra i due, tra le due
istituzioni, un forte contrasto. Lo sforzo di Hegel è teso a restituire allo stato i diritti alienati nella chiesa,
che sono poi i diritti di libertà del cittadino.
L’importanza complessiva e la novità di questo scritto composito risiede tuttavia nella nuova
concezione, rispetto al periodo bernese, del concetto di ‘positività’, che si svela qui come un concetto
storico, anzi dialettico. Ora ‘positivo’ non è più, come era stato a Berna, ciò che, in quanto molteplice e
vario, contrasta con l’unità e l’unicità della pura religione razionale (di stampo kantiano) astrattamente
predeterminata, bensì è ciò che, in sé espressione molteplice e storicamente determinata dell’uno,
pretende di porsi esso stesso come l’uno, pretende cioè l’assolutezza. La ‘positività’ che quindi a Berna
era considerata come un assoluto negativo rispetto alla pura religione razionale kantiana, a Francoforte
diviene un negativo dialettico, manifestazione molteplice, negativa ma necessaria, dell’unità del concetto.
Ormai il dis х