La religione dei fedeli e quella istituzionalizzata: l’attacco hegeliano
“Il concetto di positività di una religione è sorto e divenuto importante solo in tempi recenti; una
religione positiva si oppone a quella naturale e con ciò si presuppone che vi sia solo una religione
naturale, poiché la natura umana è solo una, ma che di religioni positive ve ne possano essere molte.
Già da questa contrapposizione risulta che una religione positiva sarebbe una religione o antinaturale
o sovrannaturale, che contiene conoscenze trascendenti il nostro intelletto e la nostra ragione, e che
richiede sentimenti e azioni che non sorgerebbero dall’uomo naturale, ma per quanto riguarda i
sentimenti, questi sono suscitati e approntati solo con la violenza, e per ciò che riguarda le azioni,
queste sono fatte solo su comando o per ubbidienza, senza un proprio interesse […].
Si è ora lodato, ora rimproverato nella religione cristiana il suo adattarsi ai più diversi costumi,
caratteri e costituzioni civili […]. Il problema se una religione è positiva riguarda molto meno il
contenuto della sua dottrina e dei suoi comandamenti che la forma sotto cui essa autentica la verità della
sua dottrina e richiede l’esecuzione dei suoi comandamenti. Ogni dottrina, ogni comandamento può
diventare positivo, perché ognuno di essi può essere annunziato in modo violento, con la
soppressione della libertà […]. La storia della chiesa permette di mostrare come le verità semplici che vi
stavano a fondamento siano state caricate, per passione e ignoranza, di un cumulo di errori; essa mostra
che nella determinazione graduale dei singoli dogmi, proseguita per secoli, non sempre conoscenza,
misura e ragione hanno guidato i santi padri […] insomma circostanze esterne, estranee alla religione,
propositi egoistici, violenza e astuzia modellarono secondo i propri scopi la fede di un popolo, di una
nazione. Ma questo modo di spiegare le cose presuppone un profondo disprezzo dell’uomo […]. Ma la
natura dell’uomo ha sempre necessariamente superiori bisogni di religiosità […] nella stessa natura vi è il
bisogno di riconoscere un’essenza più alta di quanto non sia nella nostra coscienza l’agire umano, di
fare dell’intuizione della perfezione di tale essenza lo spirito vivificante della vita. Questo bisogno
universale di una religione racchiude in sé molti bisogni singoli […].
(Gesù) con il semplice parlare, con la predicazione alle moltitudini nelle sue peregrinazioni, pensa di
capovolgere il cuore del suo popolo ostinato. Solo con l’amara esperienza dell’infruttuosità dei suoi sforzi
si estingue l’ingenuità giovanile ed egli parla ora con amara veemenza, con il cuore irritato da
un’opposizione ostile […]. È naturalissimo aspettarsi che la nuova dottrina di Gesù, una volta
accettata da menti ebraiche, dovesse trasformarsi in qualcosa di positivo, per quanto libera fosse per
sé e per di più polemica, e che essi ne facessero, in una maniera o nell’altra, qualcosa da poter
servilmente osservare. Si vede bene che la religione che Gesù portava in sé era pura dallo spirito del
suo popolo […]. Del resto l’anima di Gesù era libera, indipendente da accidentalità: l’unica cosa
necessaria era l’amore di Dio, del prossimo, l’essere santi come lo è Dio […]. Ben presto (i suoi
successori) dai discorsi di Gesù elaborarono regole e comandamenti morali; e la libera imitazione del
loro insegnante finisce ben presto in culto servile per il Maestro”.
Hegel, La positività della religione cristiana. Rifacimento del 1800, in op. cit., pp.243/255
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