Commento
Siamo così giunti, con questo insieme di scritti e frammenti che formano “Lo spirito del cristianesimo
e il suo destino”, composto a Francoforte in un periodo che gli studiosi considerano di crisi mistica, per
cui dietro il filosofo si celerebbe il teologo, dietro il razionalista il romantico, mentre in realtà, ad uno
studio più attento si rileva che, se di crisi si può parlare, questa è una crisi speculativa che prelude al
pensiero filosofico dello Hegel maturo (scrive alle soglie del 1800), siamo giunti di sicuro al distacco
dalle posizioni kantiane e dalle sue idee su religione e moralità precedentemente accettate in toto dal
giovane Hegel. Qui infatti le argomentazioni riguardanti la religione e la moralità non solo non
risentono più del tessuto concettuale kantiano, ma diventano oggetto di un attacco polemico rivolto
da Hegel alla concezione della moralità kantiana come signoria della legge autonoma della pura ragion
pratica (l’imperativo categorico kantiano). La moralità non è dunque risolutiva della positività, come a
Berna e negli Scritti precedenti Hegel aveva creduto: di essa è anzi qui denunciata una positività pari o
addirittura superiore a quella ebraica, nel senso che la netta contrapposizione di dovere razionale e
inclinazione sensibile presuppone la lacerazione dell’uomo e codifica la separatezza. Di qui il necessario
destino, dopo quello del legalitarismo ebraico, anche del moralismo kantiano, un destino di tramonto
e di superamento definitivo ad opera di un pensiero nuovo, che poi sarà quello hegeliano, la nuova
filosofia che tutte le altre supera e in sé comprende.
Quindi Hegel respinge ora in pieno il dominio della ragione sugli impulsi e sulle inclinazioni e rifiuta la
scissione necessaria tra i due domini, rifiuta la scissione di finito e infinito lasciata irrisolta da Kant che
ha preteso l’assolutezza per la virtù morale, pur restando nella scissione di essere e dover-essere come un
che di ‘necessariamente determinato’, correndo così da sola incontro al suo inevitabile destino per
affermare invece la loro conciliazione, o riconciliazione, come la definisce in questo testo, attraverso la
vita e l’amore. Siamo agli esordi della formulazione hegeliana del processo dialettico che unifica e
congiunge proprio nel momento della massima lacerazione presente e senza toglierla, piuttosto invece
comprendendola in una sintesi più alta: è la tematica dell’Aufhebung, e qui è già in nuce, ancora legata,
certo, a questioni religiose più che filosofiche.
E Gesù ora non incarna più la figura di un maestro di virtù come Socrate, ma diviene colui che,
predicando l’amore per Dio e tra gli uomini, porta al superamento della scissione tra oggettivo e
soggettivo, tra universale e particolare, tra legge e inclinazione o affezione, divenendo così elementochiave per il pensiero hegeliano in formazione di una nuova presa di coscienza che lo allontana dalla
filosofia kantiana per avvicinarlo invece alla comprensione del significato autentico della religione
cristiana che non risiede nell’obbedienza alle leggi, né in una massima morale dal valore universale che
ogni uomo deve rispettare perché obbligato a farlo dal dover essere oggettivo, ma nella legge
dell’amore, che è quasi una condizione naturale della vita umana.
L’amore toglie dunque i confini della moralità e la positività della legge, civile o morale che sia,
ricostituisce in unità ciò che per Kant e per gli ebrei rimaneva diviso; l’amore è il compimento,
l’Ausfüllung della legge che in esso risulta vanificata o comunque privata della sua assolutezza.
In questo senso possiamo vedere nel concetto di amore formulato da Hegel una prima affermazione della
futura concezione dialettica: l’amore è toglimento di ogni separazione, di ogni scissione. E tuttavia,
come vedremo in seguito nell’opera hegeliana, e come abbiamo letto nel frammento 10 dedicato
appunto