e dice già, nella Trinità, la dialettica, la quale è la forma saputa della filosofia. Il dogma trinitario che è il
cuore del Cristianesimo è assunto a schema logico del ritmo dialettico della filosofia.
La posizione espressa da Kant, della “religione entro i soli limiti della ragione” e ripresa fedelmente da Hegel
nella Vita di Gesù, è ormai del tutto superata, il distacco si è compiuto e qui, anzi, la legge morale
kantiana, riconosciuta da Hegel portatrice di quegli stessi, se non più accentuati, caratteri di positività
presenti nel Cristianesimo, è divenuta oggetto di un attacco critico molto forte perché ha lasciato
irrisolta la scissione di finito e infinito, di essere e dover essere. Semmai inizia a notarsi l’influenza del
pensiero di Spinoza, influenza spesso sottovaluta da molti studiosi della filosofia hegeliana, anche
relativamente a questi anni di formazione, che si può cogliere ancor più distintamente negli anni della
maturità, quando l’uomo hegeliano come quello concepito da Spinoza perde il suo carattere di sostanza
autonoma e libera, per diventare parte di un ingranaggio universale che non potrebbe di per sé sussistere
senza il tutto che poi, per Spinoza, è Dio, l’unica universale sostanza che regge il mondo, senza che mai,
soprattutto in Spinoza, ciò arrivi a contraddire l’elemento della libertà individuale e dell’autonomia del
soggetto, conferendogli invece solo una maggiore consapevolezza di essa.
Nella nuova valutazione hegeliana, dunque, il Cristianesimo è diventato, sia rispetto alla religione
popolare dei Greci, in cui perdurando una unità indifferenziata tra uomo e divinità, non vi era, secondo
lui, la ‘consapevolezza dell’opposizione’ e della divergenza tra umano e divino, sia rispetto alla religione
ebraica dominata dalla presenza di una dogmatica pesantissima che toglie ogni possibilità di rapporto e
di unione tra Dio e l’uomo, che rispetto alla concezione religiosa kantiana cui si è acce