LE STORIE I CONTRAPPUNTO
IL SENSO
DEL CUCINARE
Da Oriente a Occidente la tendenza è quella di più cibo delivery, più
take away e più ristorazione: è davvero finito il tempo fra i fornelli?
illustrazioni di Anna Colonnelli
Caro Luca, Caro Gabriele,
Gabriele Luca
qualche tempo fa è passata sotto silenzio una notizia che forse me-
riterebbe più attenzione. Secondo uno studio degli inglesi di Labc
Warranty, se confrontiamo le case progettate negli anni Sessanta
con quelle di oggi, si scopre che le superfici domestiche deputate alla
preparazione del cibo, in mezzo secolo sono diminuite del 13%. Nel
2030, prevede già qualcuno, costruiremo case senza cucina, come
le camere d’albergo. Succederà soprattutto nelle grandi metropoli
del mondo, quelle in cui il prezzo al metro quadrato sta lievitando
vertiginosamente: 28.500 euro, ad esempio, nei quartieri più ambiti
di Hong Kong. Rinunciare ad avere fornelli e dispense nell’ex proter-
rato britannico potrebbe dunque generare un risparmio di almeno
300mila euro. Perché succede questo? Perché scegliamo di man-
giare sempre più fuori casa e, quando siamo a casa, ordiniamo sem-
pre più cibo a domicilio. È una tendenza lampante del mondo bene-
stante d’Oriente e Occidente, un trend assistito da cifre chiare, che
generano ulteriori riflessioni. La prima è che l’attenzione e la cura
crescente che la ristorazione ‘canonica’ oggi dedica al cliente e alla
qualità del cibo dovrà presto essere trasferita all’universo del delive-
ry e del take away: con pochissime eccezioni, in Italia siamo ancora
all’anno zero. La seconda è: vuoi vedere che alla fine si sta avverando
la profezia di Davide Scabin? Una decina di anni fa, il cuoco torinese
salì sul palco di Identità Golose e invitò i colleghi a «fregare le non-
ne». Non era naturalmente un invito a truffare le mamme dei nostri
genitori, ma a cercare di mettere il naso fuori da quella meravigliosa
e monolitica impalcatura della tradizione. Tempo dopo, è un fatto
che al centro del nostro focolare oggi ci siano sempre meno le non-
ne o le mamme, e sempre più gli chef. Che sono alla fine usciti dalle
mura anguste della cucina per supplire a quella progressiva spari-
zione, accelerata dalle nostre sempre più frequenti sortite outdoor.
Lo storytelling di oggi non è forse l’appropriazione della saggezza
sussurrata dalla nonna ieri? Ma soprattutto, Luca, in questo turn over
di protagonisti, abbiamo più da perderci o da guadagnarci?
GABRIELE ZANATTA
Coordina la guida Identità
Golose, indaga (e si gode) il
mondo dell’alta cucina.
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ringrazio al cielo d’abitare a Torino dove ancora ci possiamo per-
mettere i metri quadri necessari per una cucina come si deve!
Quello che scrivi mi preoccupa e assai. Non tanto per le nonne. Del-
le nonne, francamente, me ne infischio. Nel 99% dei casi un cuoco
professionista cucina meglio di un parente – che sia nonna, zio,
genitore 2 o cognato della sorella del patrigno di tua nuora – e da
ormai da tempo gli chef si sono fatti carico anche di codificare e
tramandare la cucina popolare, quella nata e cresciuta nelle fami-
glie, non nei ristoranti (oggi come oggi negli stellati mangi delle
lasagne o degli agnolotti da urlo). Dunque non sono preoccupato
perché non mangeremo più in casa. Sono preoccupato perché in
casa non cucineremo più. Stiamo diventando una società in cui
tutti mangiano e nessuno cucina, ad accezione delle persone pa-
gate per farlo. E questo è un male: cucinare è un gesto meraviglio-
so. Cucinare rilassa. Cucinare vuol dire usare le mani per far qual-
cosa che non sia ‘tappare’ (ma che diavolo di termine è?) su uno
schermo. Cucinare vuol dire dedicare del tempo alle persone cui
vuoi bene. Cucinare è un modo per riprendere contatto con la na-
tura. Un mondo che mangia ma non cucina perde di vista cosa sia
– cosa significhi! – il cibo. A casa la cucina – come vuole il termi-
ne – non è il luogo dove si mangia, è il luogo, prima di tutto, dove si
cucina. Perdere la dimensione amatoriale della trasformazione del
cibo sarebbe un disastro epocale: come se il calcio non fosse più il
gioco con cui i ragazzini si divertono il pomeriggio ma diventasse
esclusivamente serie A e spettatori in poltrona; come se la musica
non volesse più dire suonare la chitarra con gli amici ma esclusi-
vamente scaricare brani di ITunes. Ora che faccio questi esempi,
mi rendo conto che in effetti sta succedendo, e in tutti gli ambiti:
ci stiamo trasformando da attori in spettatori, da produttori a puri
fruitori. Di fatto: in consumatori a tempo pieno. Mi auguro davvero
che non capiti anche nell’ambito del cibo. Perché mangiare è bello,
ma cucinare è molto di più.
Si trovano spesso a tavola:
popolare o gourmet non conta,
basta che sia buona.
LUCA IACCARINO
Scrive di cibo per La
Repubblica, ha una passione
irrefrenabile per le ricette
popolari.