Grande Cucina Settembre/Ottobre 2019 | Page 98

LE STORIE I CONTRAPPUNTO IL SENSO DEL CUCINARE Da Oriente a Occidente la tendenza è quella di più cibo delivery, più take away e più ristorazione: è davvero finito il tempo fra i fornelli? illustrazioni di Anna Colonnelli Caro Luca, Caro Gabriele, Gabriele Luca qualche tempo fa è passata sotto silenzio una notizia che forse me- riterebbe più attenzione. Secondo uno studio degli inglesi di Labc Warranty, se confrontiamo le case progettate negli anni Sessanta con quelle di oggi, si scopre che le superfici domestiche deputate alla preparazione del cibo, in mezzo secolo sono diminuite del 13%. Nel 2030, prevede già qualcuno, costruiremo case senza cucina, come le camere d’albergo. Succederà soprattutto nelle grandi metropoli del mondo, quelle in cui il prezzo al metro quadrato sta lievitando vertiginosamente: 28.500 euro, ad esempio, nei quartieri più ambiti di Hong Kong. Rinunciare ad avere fornelli e dispense nell’ex proter- rato britannico potrebbe dunque generare un risparmio di almeno 300mila euro. Perché succede questo? Perché scegliamo di man- giare sempre più fuori casa e, quando siamo a casa, ordiniamo sem- pre più cibo a domicilio. È una tendenza lampante del mondo bene- stante d’Oriente e Occidente, un trend assistito da cifre chiare, che generano ulteriori riflessioni. La prima è che l’attenzione e la cura crescente che la ristorazione ‘canonica’ oggi dedica al cliente e alla qualità del cibo dovrà presto essere trasferita all’universo del delive- ry e del take away: con pochissime eccezioni, in Italia siamo ancora all’anno zero. La seconda è: vuoi vedere che alla fine si sta avverando la profezia di Davide Scabin? Una decina di anni fa, il cuoco torinese salì sul palco di Identità Golose e invitò i colleghi a «fregare le non- ne». Non era naturalmente un invito a truffare le mamme dei nostri genitori, ma a cercare di mettere il naso fuori da quella meravigliosa e monolitica impalcatura della tradizione. Tempo dopo, è un fatto che al centro del nostro focolare oggi ci siano sempre meno le non- ne o le mamme, e sempre più gli chef. Che sono alla fine usciti dalle mura anguste della cucina per supplire a quella progressiva spari- zione, accelerata dalle nostre sempre più frequenti sortite outdoor. Lo storytelling di oggi non è forse l’appropriazione della saggezza sussurrata dalla nonna ieri? Ma soprattutto, Luca, in questo turn over di protagonisti, abbiamo più da perderci o da guadagnarci? GABRIELE ZANATTA Coordina la guida Identità Golose, indaga (e si gode) il mondo dell’alta cucina. 96 ringrazio al cielo d’abitare a Torino dove ancora ci possiamo per- mettere i metri quadri necessari per una cucina come si deve! Quello che scrivi mi preoccupa e assai. Non tanto per le nonne. Del- le nonne, francamente, me ne infischio. Nel 99% dei casi un cuoco professionista cucina meglio di un parente – che sia nonna, zio, genitore 2 o cognato della sorella del patrigno di tua nuora – e da ormai da tempo gli chef si sono fatti carico anche di codificare e tramandare la cucina popolare, quella nata e cresciuta nelle fami- glie, non nei ristoranti (oggi come oggi negli stellati mangi delle lasagne o degli agnolotti da urlo). Dunque non sono preoccupato perché non mangeremo più in casa. Sono preoccupato perché in casa non cucineremo più. Stiamo diventando una società in cui tutti mangiano e nessuno cucina, ad accezione delle persone pa- gate per farlo. E questo è un male: cucinare è un gesto meraviglio- so. Cucinare rilassa. Cucinare vuol dire usare le mani per far qual- cosa che non sia ‘tappare’ (ma che diavolo di termine è?) su uno schermo. Cucinare vuol dire dedicare del tempo alle persone cui vuoi bene. Cucinare è un modo per riprendere contatto con la na- tura. Un mondo che mangia ma non cucina perde di vista cosa sia – cosa significhi! – il cibo. A casa la cucina – come vuole il termi- ne – non è il luogo dove si mangia, è il luogo, prima di tutto, dove si cucina. Perdere la dimensione amatoriale della trasformazione del cibo sarebbe un disastro epocale: come se il calcio non fosse più il gioco con cui i ragazzini si divertono il pomeriggio ma diventasse esclusivamente serie A e spettatori in poltrona; come se la musica non volesse più dire suonare la chitarra con gli amici ma esclusi- vamente scaricare brani di ITunes. Ora che faccio questi esempi, mi rendo conto che in effetti sta succedendo, e in tutti gli ambiti: ci stiamo trasformando da attori in spettatori, da produttori a puri fruitori. Di fatto: in consumatori a tempo pieno. Mi auguro davvero che non capiti anche nell’ambito del cibo. Perché mangiare è bello, ma cucinare è molto di più. Si trovano spesso a tavola: popolare o gourmet non conta, basta che sia buona. LUCA IACCARINO Scrive di cibo per La Repubblica, ha una passione irrefrenabile per le ricette popolari.