LE STORIE I FUORICARTA
DREAMLAND
Che sia accogliente, semplice, con personale attento.
Il ristorante ideale ha un’unica possibile religione: il cliente.
Coccolato, viziato e riverito, con tanto di sorriso
Di Valerio M. Visintin
U
n mio sogno, nemmeno tanto segreto, è gira-
re per i ristoranti di Milano trovando sempre
bocconi paradisiaci in sale calde e conforte-
voli come guanti di cachemire. E mi spiace
che la realtà abbia altre facce; che troppo spesso mi cor-
ra l’obbligo ingrato di dover timbrare qualche appunto
critico, non volendo tradire il mio mandato. Beati quei
colleghi che si trovano a meraviglia ovunque vadano.
Si vede che sono più fortunati di me.
Il ristorante che vorrei ha un’insegna semplice, dome-
stica e amichevole. Meglio se non si tratta di un cogno-
me, perché il ristorante non è uno studio notarile. Al
limite, andrà bene un nome di battesimo.
Nel ristorante che vorrei, la religione ufficiale è il clien-
te. E attorno al suo benessere si dipana una inviolabile
liturgia. Voglio un sorriso e un guardaroba all’ingresso.
Non tollero il cameriere attaccato alla collottola per tut-
ta la sera come un secondino. Non voglio che mi rab-
bocchi il bicchiere a getto continuo, spingendomi all’al-
colismo e costringendomi a sussurrare per preservare
una briciola di intimità col mio commensale. Tuttavia,
è quasi peggio se mi inducono a brandire il cellulare,
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quale estremo tentativo di catturarne l’attenzione. L’ho
fatto davvero qualche annetto fa in un ristorante di via
Borsieri, a Milano: «Buongiorno, siamo i due signori che
si sbracciano da un’ora al tavolo 5. Le spiace se faccio
le ordinazioni per telefono?».
Anche se sono il signor nessuno (agisco soltanto in
incognito), nel ristorante che vorrei pretendo d’essere
coccolato e riverito come un principino. Ma detesto il
contegno dickensiano di alcuni maître inabili al sorriso,
che confondono l’accoglienza con il sussiego.
Voglio che, in sottofinale di serata, lo chef venga a sa-
lutarmi. E non accada mai che mi si venga a suggerire
il contrario: «Lo chef è disponibile a riceverla».
«Ma davvero? Gli dica che il cliente è in riunione».
Quanto al menu, per favore, chiamiamo i piatti col loro
nome e basta, lasciando gli afflati lirici agli uomini di
penna o ai diari degli adolescenti. Di recente, dopo aver
letto il menu di uno dei troppi cuochi-poetanti, ho fre-
nato a stento l’impulso di spedire un pacco contenen-
te un cappio e una grammatica. Accompagnati da un
biglietto: «Scelga lei a quale dei due ricorrere prima di
vergare i suoi prossimi versi».