Grande Cucina Settembre/Ottobre 2019 | Page 86

LE STORIE I FUORICARTA DREAMLAND Che sia accogliente, semplice, con personale attento. Il ristorante ideale ha un’unica possibile religione: il cliente. Coccolato, viziato e riverito, con tanto di sorriso Di Valerio M. Visintin U n mio sogno, nemmeno tanto segreto, è gira- re per i ristoranti di Milano trovando sempre bocconi paradisiaci in sale calde e conforte- voli come guanti di cachemire. E mi spiace che la realtà abbia altre facce; che troppo spesso mi cor- ra l’obbligo ingrato di dover timbrare qualche appunto critico, non volendo tradire il mio mandato. Beati quei colleghi che si trovano a meraviglia ovunque vadano. Si vede che sono più fortunati di me. Il ristorante che vorrei ha un’insegna semplice, dome- stica e amichevole. Meglio se non si tratta di un cogno- me, perché il ristorante non è uno studio notarile. Al limite, andrà bene un nome di battesimo. Nel ristorante che vorrei, la religione ufficiale è il clien- te. E attorno al suo benessere si dipana una inviolabile liturgia. Voglio un sorriso e un guardaroba all’ingresso. Non tollero il cameriere attaccato alla collottola per tut- ta la sera come un secondino. Non voglio che mi rab- bocchi il bicchiere a getto continuo, spingendomi all’al- colismo e costringendomi a sussurrare per preservare una briciola di intimità col mio commensale. Tuttavia, è quasi peggio se mi inducono a brandire il cellulare, 84 quale estremo tentativo di catturarne l’attenzione. L’ho fatto davvero qualche annetto fa in un ristorante di via Borsieri, a Milano: «Buongiorno, siamo i due signori che si sbracciano da un’ora al tavolo 5. Le spiace se faccio le ordinazioni per telefono?». Anche se sono il signor nessuno (agisco soltanto in incognito), nel ristorante che vorrei pretendo d’essere coccolato e riverito come un principino. Ma detesto il contegno dickensiano di alcuni maître inabili al sorriso, che confondono l’accoglienza con il sussiego. Voglio che, in sottofinale di serata, lo chef venga a sa- lutarmi. E non accada mai che mi si venga a suggerire il contrario: «Lo chef è disponibile a riceverla». «Ma davvero? Gli dica che il cliente è in riunione». Quanto al menu, per favore, chiamiamo i piatti col loro nome e basta, lasciando gli afflati lirici agli uomini di penna o ai diari degli adolescenti. Di recente, dopo aver letto il menu di uno dei troppi cuochi-poetanti, ho fre- nato a stento l’impulso di spedire un pacco contenen- te un cappio e una grammatica. Accompagnati da un biglietto: «Scelga lei a quale dei due ricorrere prima di vergare i suoi prossimi versi».