LA SALA I FOCUS
OSSA IN VISTA
Suili Zhou e Kin
Cheung di MU
Dimsum e un piatto
di Feng Zhua
(zampe di gallina)
li odia», racconta Ritu Dalmia, la celebrity chef
indiana dei milanesi Cittamani e Spica. «Secon-
do me ci si posiziona in maniera così decisa e
perentoria per questioni legate principalmente
all’odore, alla consistenza e all’aspetto: il gusto
arriva dopo, e sia che si ami o meno un determi-
nato ingrediente, la maggior parte delle decisioni
viene presa molto prima che questo venga mes-
so in bocca». Entra in gioco anche un discorso
culturale, spiega Dalmia, poiché «se in Italia non
di rado mi viene chiesto di eliminare l’aglio o il
coriandolo dai piatti, nel mio ristorante italiano
in India accade la stessa cosa con i pesci dal sa-
pore forte o col formaggio erborinato».
Le fanno eco Suili Zhou, titolare, e Kin Cheung,
Executive Chef di MU Dimsum, ristorante di cuci-
na tradizionale cinese a Milano: «abbiamo notato
reazioni contrastanti verso le puntine di maiale;
le zampe di gallina; il Black Char Siu Bao (panino
nero al vapore ripieno al maiale bio caramellato,
Ndr.), forse per via del suo colore e di quella sensa-
zione di ‘sabbietta’ data dal carbone vegetale; l’O-
smanto Egg (uovo affumicato con foie gras, Ndr.)
e il riso glutinoso, a causa della loro consistenza».
Il motivo? Un blocco psicologico o un pregiudizio,
ipotizzano i due ristoratori: «le zampe di gallina
appoggiano a terra e creano così una barriera men-
tale, mentre alcuni clienti non riescono ad accetta-
re l’idea di assaggiare un cibo nero, come il Black
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Char Siu Bao. Le donne italiane non amano cibi
da masticare troppo e dove è necessario sputare
le ossa – vedi le puntine di maiale o le zampe di
gallina –, un’azione che invece per le donne cinesi
è del tutto normale».
Le nostre personali idiosincrasie sono pure frutto
di mode passeggere e di una scarsa conoscenza
degli alimenti, sottolinea Daniel Canzian, mente
creativa e patron dell’omonimo ristorante milane-
se: «il 90% delle persone è convinto che il mare sia
popolato da branzini, orate, scampi, astici e gambe-
roni; pochissimi sanno cos’è un pesce sciabola, una
palamide, una sarda, un’alalunga. Le mode fanno
veramente tanto in tal senso, perché creano del-
le tendenze a causa delle quali diversi ingredien-
ti divengono meno commerciali e dunque meno
‘accettati’: succede col piccione; col rognone; col
risotto alla certosina, che prevede l’utilizzo della
polpa delle rane». L’impianto culturale è importan-
tissimo, perché «viviamo in un’epoca in cui siamo
disposti ad assaggiare qualsiasi cosa – dal poke
al sushi brasiliano, arrivando agli insetti essiccati
– eppure continuiamo a storcere il naso di fronte
alle frattaglie».
Un ruolo fondamentale, va da sé, lo rivestono tec-
nica e cottura: assaggiamo una volta un cibo cotto
male, non ci piace, siamo restii a regalargli una se-
conda chance. «In generale non diamo tante possi-