LA SALA I APERTURE
TEAM SU MISURA
Viviana Varese
insieme a Ida
Brenna, sous-chef
e capo pasticcera,
e Matteo Carnaghi,
sous chef, da
tempo a fianco
della chef
un solo piatto. Alla luce di ciò che io do loro – un ec-
cellente aperitivo, la piccola pasticceria finale, un pane
eccezionale – e che per me ha un costo, perdo un co-
perto. A mio parere non è una dinamica corretta, quindi
ho fissato un prezzo minimo che chi viene a mangiare
qui deve spendere: abbiamo dei costi di materia prima
e di manodopera davvero consistenti, ed è giusto che
siano ricompensati». Prezzi per due o tre piatti e per due
menu degustazione – uno incentrato sui piatti storici
di Varese, l’altro (il menu VIVA) più innovativo e sog-
getto a frequenti variazioni –, con un comune intento:
chiudere una cena entro le due ore. «Si partirà con una
moltitudine di mirco-piatti, piccole entrée servite in due
passaggi che verranno seguite da cinque piatti e due
dolci. La cena permetterà di assaggiare circa trenta pre-
parazioni in totale e di provare la cucina a tutto tondo,
senza essere costretti a rimanere a tavola per un lasso
di tempo troppo lungo». Il business lunch gioca invece
intorno all’orto con un antipasto misto ‘conviviale’ di
sette variazioni che imbandiscono il centro del tavolo;
una scelta tra sei main course e un dolce fisso al prez-
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58
zo di 45 euro (che diventano 58 se si opta per due piatti
principali). «Voglio far vivere l’esperienza stellata anche
a pranzo, eliminando la carta e sollevando il lavoro dei
miei ragazzi – che hanno venticinque piatti da gestire
per la sera; accanto a questo sussisterà comunque il
menu degustazione dei piatti storici, che prevede sette
portate a 120 euro». Le nuove proposte si alterneranno
di continuo, seguendo la stagionalità scandita dall’orto:
«i presidi slow food spesso hanno vita breve, e una carta
troppo rigida non mi avrebbe messa nella condizione di
esprimermi al meglio. Questa è stata la cosa forse più
innovativa: creare un menu bello, che posso cambiare
anche ogni giorno aggiungendo ciò che desidero… un
menu ‘vivo’, per chiudere il cerchio».
Ultimo punto – ma non meno importante – l’investi-
mento sulle risorse umane: la cantina, affidata alle cu-
re della sommelier Federica Radice, è stata ampliata a
7-800 etichette (dalle circa 500 attuali), con maggior
attenzione ai vini francesi, alle annate prestigiose, alle
bottiglie rare. Ad Jessica Rocchi il compito di gestire il
mondo cocktail, con una lista dedicata in abbinamento
ai piatti in carta; in sala il colombiano Luis Diaz (miglior
giovane maître d’Italia 2017) e Gianluca De Marco; in cu-
cina i sous chef Ida Brenna, Matteo Carnaghi ed Emilia-
no Neri. «Per me questi ragazzi sono il futuro», confessa
Varese con orgoglio, «sono loro che raccoglieranno l’e-
redità della mia cucina». Un ambiente, prosegue, «molto
particolare, perché la mia è una squadra libera: ognuno
è attento, non manca il riguardo nei confronti del lavo-
ro, però il contesto non è rigido e viene data massima
importanza ai due giorni di riposo settimana, e alle sei
settimane di ferie distribuite durante l’anno. Nella mia
cucina non c’è spazio per il nonnismo, per la discrimi-
nazione o per la violenza: esiste la diversità, esiste il
rispetto reciproco, esistono tante donne che lavorano
insieme agli uomini, esistono razze diverse che colla-
borano, mescolando colori, tradizioni e culture». ‘Inclu-
sione’ è un termine che ricorre spesso, e che s’inserisce
in un più ampio discorso relativo all’abbattimento dei
cliché: «i primi anni che lavoravo in cucina mi com-
portavo come un uomo, perché credevo che le donne,
per raggiungere un traguardo, dovessero essere dure e
incutere timore. Dopodiché ho vissuto un’esperienza
terribile in un ristorante di Chicago dov’ero andata a
fare uno stage, e lì ho capito che non sarei mai caduta
nel machismo più bieco. Quel frangente mi ha cam-
biato la vita, ho iniziato a essere meno impulsiva e a
mettere sempre davanti il rispetto dell’essere umano.
Si può – e si deve – cucinare in un modo diverso, in
armonia, mantenendo comunque la serietà: quando
l’energia è migliore, pure il cibo diventa migliore». E con
tali premesse, c’è da scommettere che tanto il cibo glo-
betrotter di Spica, quanto i piatti etici e gioiosi di VIVA,
allieteranno non poco i palati assetati di novità all’ombra
della Madonnina.