Grande Cucina Settembre/Ottobre 2019 | Page 60

LA SALA I APERTURE TEAM SU MISURA Viviana Varese insieme a Ida Brenna, sous-chef e capo pasticcera, e Matteo Carnaghi, sous chef, da tempo a fianco della chef un solo piatto. Alla luce di ciò che io do loro – un ec- cellente aperitivo, la piccola pasticceria finale, un pane eccezionale – e che per me ha un costo, perdo un co- perto. A mio parere non è una dinamica corretta, quindi ho fissato un prezzo minimo che chi viene a mangiare qui deve spendere: abbiamo dei costi di materia prima e di manodopera davvero consistenti, ed è giusto che siano ricompensati». Prezzi per due o tre piatti e per due menu degustazione – uno incentrato sui piatti storici di Varese, l’altro (il menu VIVA) più innovativo e sog- getto a frequenti variazioni –, con un comune intento: chiudere una cena entro le due ore. «Si partirà con una moltitudine di mirco-piatti, piccole entrée servite in due passaggi che verranno seguite da cinque piatti e due dolci. La cena permetterà di assaggiare circa trenta pre- parazioni in totale e di provare la cucina a tutto tondo, senza essere costretti a rimanere a tavola per un lasso di tempo troppo lungo». Il business lunch gioca invece intorno all’orto con un antipasto misto ‘conviviale’ di sette variazioni che imbandiscono il centro del tavolo; una scelta tra sei main course e un dolce fisso al prez- SCOPRI CONTENUTI E VIDEO AGGIUNTIVI SUL NOSTRO SITO WWW.ITALIANGOURMET.IT 58 zo di 45 euro (che diventano 58 se si opta per due piatti principali). «Voglio far vivere l’esperienza stellata anche a pranzo, eliminando la carta e sollevando il lavoro dei miei ragazzi – che hanno venticinque piatti da gestire per la sera; accanto a questo sussisterà comunque il menu degustazione dei piatti storici, che prevede sette portate a 120 euro». Le nuove proposte si alterneranno di continuo, seguendo la stagionalità scandita dall’orto: «i presidi slow food spesso hanno vita breve, e una carta troppo rigida non mi avrebbe messa nella condizione di esprimermi al meglio. Questa è stata la cosa forse più innovativa: creare un menu bello, che posso cambiare anche ogni giorno aggiungendo ciò che desidero… un menu ‘vivo’, per chiudere il cerchio». Ultimo punto – ma non meno importante – l’investi- mento sulle risorse umane: la cantina, affidata alle cu- re della sommelier Federica Radice, è stata ampliata a 7-800 etichette (dalle circa 500 attuali), con maggior attenzione ai vini francesi, alle annate prestigiose, alle bottiglie rare. Ad Jessica Rocchi il compito di gestire il mondo cocktail, con una lista dedicata in abbinamento ai piatti in carta; in sala il colombiano Luis Diaz (miglior giovane maître d’Italia 2017) e Gianluca De Marco; in cu- cina i sous chef Ida Brenna, Matteo Carnaghi ed Emilia- no Neri. «Per me questi ragazzi sono il futuro», confessa Varese con orgoglio, «sono loro che raccoglieranno l’e- redità della mia cucina». Un ambiente, prosegue, «molto particolare, perché la mia è una squadra libera: ognuno è attento, non manca il riguardo nei confronti del lavo- ro, però il contesto non è rigido e viene data massima importanza ai due giorni di riposo settimana, e alle sei settimane di ferie distribuite durante l’anno. Nella mia cucina non c’è spazio per il nonnismo, per la discrimi- nazione o per la violenza: esiste la diversità, esiste il rispetto reciproco, esistono tante donne che lavorano insieme agli uomini, esistono razze diverse che colla- borano, mescolando colori, tradizioni e culture». ‘Inclu- sione’ è un termine che ricorre spesso, e che s’inserisce in un più ampio discorso relativo all’abbattimento dei cliché: «i primi anni che lavoravo in cucina mi com- portavo come un uomo, perché credevo che le donne, per raggiungere un traguardo, dovessero essere dure e incutere timore. Dopodiché ho vissuto un’esperienza terribile in un ristorante di Chicago dov’ero andata a fare uno stage, e lì ho capito che non sarei mai caduta nel machismo più bieco. Quel frangente mi ha cam- biato la vita, ho iniziato a essere meno impulsiva e a mettere sempre davanti il rispetto dell’essere umano. Si può – e si deve – cucinare in un modo diverso, in armonia, mantenendo comunque la serietà: quando l’energia è migliore, pure il cibo diventa migliore». E con tali premesse, c’è da scommettere che tanto il cibo glo- betrotter di Spica, quanto i piatti etici e gioiosi di VIVA, allieteranno non poco i palati assetati di novità all’ombra della Madonnina.