GRANDE CUCINA 02-2025 | Page 71

FRANCESCO DE PADOVA
Età: 30 anni Formazione: Istituto alberghiero Sandro Pertini, Brindisi Ruolo: Executive Pastry Chef hotel Brunelleschi e Ristorante Santa Elisabetta, Firenze, 2 stelle Michelin
VINCENZO DIGIFICO
Età: 33 anni Formazione: Istituto Professionale per l’ Enogastronomia e l’ Ospitalità Alberghiera Enrico Mattei Vieste Ruolo: Pastry Chef del ristorante I Portici, Bologna, 1 stella Michelin
logico. Mi piace usare la frutta in tutte le sue parti, anche quelle che generalmente vengono scartate. Cerco di suscitare non solo sorpresa, ma anche curiosità. Infine, per la piccola pasticceria lavoriamo solitamente su tre pezzi, una parte più golosa e una maggiormente fruttata. Sempre con grande cura per l’ estetica.
Qual è il tuo dessert meglio riuscito? F. D. P.“ Dolce emozione di miele”, per crearlo ho fatto un grande studio all’ interno di un’ azienda agricola che produce dieci tipi diversi di miele. In questo dessert ci sono tutte le tecniche che un pasticcere da ristorazione dovrebbe conoscere. Ci sono una glassa, un cremoso, un gelato, una mousse, la decorazione con l’ isomalto. V. D. È come chiedere a un padre di scegliere il figlio preferito. Se proprio devo, allora il“ Timo limonato” ovvero il piatto in cui ho messo molta tecnica e ricerca: chips con all’ interno più di 15 tipologie di fiori e germogli selezionati così da creare un’ armonia.
L’ ingrediente più sottovalutato secondo te? F. D. P. Il miele è un elemento che può dare tanto se ben usato. Non
tutti lo capiscono. V. D. Secondo me sono gli infusi, in realtà preziosi perché riescono a dare una sferzata a un dessert. Ad esempio, in carta abbiamo un dessert al mandarino, abbinato a camomilla, tè earl grey e sakè. Gli infusi sono utili per trovare un equilibrio.
Invece quello più sopravvalutato?
F. D. P. Il cioccolato, sto cercando di limitarlo molto nei miei dessert. Ha un gusto troppo riconoscibile. E poi negli ultimi tempi il suo prezzo è lievitato vertiginosamente. V. D. Più che sopravvalutato direi usato: il cioccolato. Tutti lo amano, ma a volte è solo la soluzione più semplice. Sappiamo già che piace quindi, dato che io cerco sempre di complicare le cose, utilizzo il cioccolato solo come struttura ma in piccole percentuali. In carta raramente ho dolci al cioccolato.
Un collega che apprezzi particolarmente? F. D. P. Ho avuto la fortuna di entrare in AMPI giovani e sono cresciuto
all’ interno dell’ associazione insieme a colleghi talentuosi come Leonardo Sperati. Ho apprezzato molto il suo percorso che lo ha portato fino all’ Enoteca Pinchiorri.
V. D. Il mio pezzo di storia l’ ho fatto in Spagna, Albert Adrià è un vero mito per me. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di andare a mangiare quando c’ era ancora il Tickets a Barcellona. Lui riesce a farti capire cos’ è veramente la magia di un dolce. I suoi piatti danno il sorriso e richiamano ricordi. Questo è la pasticceria: divertimento e stupore ed è proprio quello che anche io vorrei trasmettere, ovviamente contestualizzando il tutto rispetto alla realtà in cui mi trovo.
Chi consideri i tuoi maestri? F. D. P. Carmine Di Donna, è stato lui a traghettarmi nel mondo della
ristorazione. Quando sono entrato alla Torre del Saracino di Gennaro Esposito per uno stage ero mezzo cuoco e mezzo pasticcere da laboratorio. Lì ho incontrato Di Donna, che era pastry chef del ristorante, che mi ha forgiato, tanto che alla fine sono rimasto con lui a Vico Equense per 4 anni. V. D. Non considero nessuno un maestro, ma non per peccare di presunzione. Io ho costruito il mio percorso in tante cucine rinomate dove ho scelto di fermarmi sempre massimo 2 anni perché volevo vedere diverse mentalità e punti di vista per poi creare il mio. Non ho cercato un maestro, non mi volevo precludere anni della mia gavetta solo con una persona. Tutti mi hanno lasciato qualcosa e hanno contribuito a farmi diventare ciò che sono, siano essi chef o pastry chef.
In che rapporto sei con lo chef del ristorante? F. D. P. Io e Rocco De Santis abbiamo un forte legame, ci siamo conosciuti alla Torre del Saracino, dove era sous chef di Gennaro Esposito. Ci capiamo al volo, parliamo la stessa lingua. V. D. Siamo giovani entrambi, ambiziosi, lavoriamo con la giusta armonia e in squadra, che è quello che fa la differenza. Ci parliamo, ci confrontiamo, condividendo ognuno il proprio punto di vista per arrivare all’ obiettivo principale: offrire una buona cucina e far stare bene i clienti.
Dove ti vedi tra 10 anni? F. D. P. Sogno di aprire qualcosa di mio dove poter fare quello che mi
piace, una sorta di bakery con spunti di pasticceria con piccolo bistrot. Un po’ come ha fatto il mio conterraneo Nicola Di Lena che è riuscito a creare Virgola, un posto speciale aperto a tutti. V. D. Con la giacca da pasticcere, mi piace troppo questo lavoro. Vorrei continuare ad avere gli stessi stimoli di adesso, magari in maniera diversa, ma sempre con energia. Vorrei lasciare un segno nel mondo della pasticceria, anche per i giovani di domani.
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