Emilio Del Giudice / Alberto Tedeschi La Scienza dello Spirito | Page 30
L’ A T T E G G I A M E N T O
SCIENTIFICO
Molière nel "Malato immaginario" espri-
me in poche righe ciò su cui voglio
portare la vostra attenzione: "Dottore
perché il papavero fa dormire?" il dot-
tore non lo sapeva, come al tempo non
lo sapeva nessuno, allora risponde: "È
chiaro, perché il papavero ha la vis
dormitiva". Come potete immaginare, se
lui invece di dirlo in latino lo avesse
detto in italiano, rispondendo che il
papavero fa dormire perché è così, allo-
ra tutti avrebbero capito che lui non lo
sapeva.
Una volta messa sul tavolo la descrizio-
ne, per arrivare a capire il perché
accade quello che accade e che abbia-
mo osservato, all'inizio si devono formu-
lare delle ipotesi, poi da verificare, ma
comunque come prima azione ci sono le
congetture da fare. L'essere umano pos-
siede sì gli occhi, magari con annessi
occhiali, ma possiede pure l'occhio della
mente. Infatti la mente ha un senso, il
famoso sesto senso!
Questo aneddoto per sottolineare che
non si può spacciare per scienza una
sequenza di parole, magari anche diffi-
cili, che non sono però di nessuna
spiegazione, ci sono delle questioni pre-
liminari a cui occorre rispondere, e que-
sto fa parte del metodo realmente
scientifico.
Quindi, la prima cosa che uno si deve
chiedere quando si trova di fronte a un
fenomeno è, ovviamente, la descrizione
del fenomeno. Tornando alla questione
del papavero, la descrizione potrebbe
essere: "c'è il papavero, quando gli
esseri umani prendono gli estratti di
papavero si addormentano".
La descrizione è il primo passo della
scienza, ovvero il riconoscimento del
fatto. In questo senso possiamo affer-
mare che la scienza è quindi nata già
dalla antichità. Fin dall'antichità, infatti,
gli esseri umani hanno guardato il cielo,
preso nota di tutti gli astri al variare del
tempo, hanno disegnato queste orbite, le
mappe del cielo, le effemeridi, … un
lavoro gigantesco!
Simultaneamente è stata fatta la lista
delle piante, la lista degli animali, sono
stati distinti i vari tipi di piante e di
animali, sono state raggruppate in fami-
glia a seconda delle parentele, tutte le
piante sono state distinte fra quelle
commestibili e quelle velenose e quelle
neutre e insomma un lavoro descrittivo.
Questa è la premessa della scienza,
dopo di che c'è un livello successivo
quello che corrisponde alla domanda: "E
perché?". Perché è cosi, perché si
comporta in quel modo.
Che, detta in altri termini questa
domanda, in effetti vuole arrivare a sco-
prire se noi umani, in questo fenomeno
possiamo metterci le mani.
Infatti, quando si ragiona si crea spes-
so una coazione, una dipendenza psico-
logica dalle idee dominanti che porta a
ragionare tutti allo stesso modo.
Invece per l'osservazione è un po'
diverso. Per le osservazioni, se uno ha
osservato che un asino vola, potrà dire:
"non lo capisco, però effettivamente ho
visto che l'asino volava", e a suo tempo
capirà. Quindi affermare "aaah, la
scienza non l'ha avvalorato", oppure
"non può essere vero!" è la risposta
più stupida che uno possa dare rispetto
a un fenomeno.
Per me può essere vera qualsiasi cosa,
questo non vuol dire che è vero, può
essere, solo che allo stadio questo
fenomeno - supposto che esista - io
non lo capisco. Questo è il massimo che
uno scienziato può dire. Può darsi che
lo capirà in futuro, può darsi.
Uno deve imparare che non esistono
solo certezze nella scienza, esiste anche
la sospensione del giudizio. Le cose che
non si capiscono ora, si capiranno in
futuro.
Una parte del progresso umano è stata
fatta così. Come si dice in inglese: "by
trial and error", ovvero attraverso ten-
tativi, errori e correzione degli errori. È
un metodo estremamente complesso, che
ci porta piano piano a decrittare la for-
mazione del fenomeno: cioè quella che
poi la scienza definirà legge.
Le risposte all'indagine si possono divi-
dere in tre semplici categorie: la cate-
goria del sì, la categoria del no e la
categoria del non lo so, che si applica
alla maggior parte dei fenomeni.
Quindi l'attitudine che lo scienziato deve
avere è quello che Kant chiamava "la
sospensione del giudizio". Se qualcuno
nel 1902 chiedeva ai coniugi Curie: "ma
come si spiega la radioattività?" L'unica
risposta che si poteva dare allora era:
"non lo sappiamo!". E, al momento, ci
si doveva accontentare. Infatti, intorno
al 1910 venne capito. Questa è l'attitu-
dine scientifica.
Nel campo dell'osservazione
meno uno si può sbagliare,
sono sbagliare, però è più
si sbaglino tutti. Invece
ammettere che si sbaglino
si tratti di ragionamenti.
26
di un feno-
due si pos-
difficile che
è possibile
tutti quando
E qui entriamo in un problema più com-
plicato, cioè della effettiva conoscibilità
del mondo della realtà. Ovvero, uno può
avere la concezione del mondo e delle
sue leggi, del suo modo di comportarsi,
solo che poi non è detto che le si capi-
sca veramente.
Per cui la scienza posa inevitabilmente
su un atto di fede, ovvero che la realtà
sia comprensibile. Fatto questo atto di
fede si cercherà allora di comprenderla.
Ovviamente questo è un atto di fede con
controllo finale, perché se poi, in defi-
nitiva, non la comprendiamo questa
realtà, come facciamo a dire che l'ab-
biamo compresa? Non l'abbiamo compre-
sa! E questo lo si appura, non basan-
dosi sull'elemento descrittivo, ma dalla
capacità realizzativa: l'ho capita se rie-
sco a riprodurre sulla realtà interventi
che abbiano successo.
Questa, paradossalmente, è una prova di
umiltà, quello che si chiama il riduzio-
nismo scientifico. Cioè se noi abbiamo
ragione, deve essere così, lo si deve
poter dimostrare realizzandolo, altrimen-
ti dobbiamo rivedere tutta la nostra
costruzione!"
(Da una conferenza di Emilio Del
Giudice all'Università dell'Immagine,
Milano, il 29 novembre 2003)