praticata sulle rotte navali, di bassi salari in Gran Bretagna e dell’assoggettamento politico dell’India. Tutto
questo si trova in una barretta di cioccolata.” LE MERCI PARLANO
“Siamo pronti ad assumerci questa grave responsabilità giusto per soddisfare il nostro palato oppure
dovremmo accontentarci di un alimento locale? Non possiamo ignorare le conseguenze anche lontane
delle nostre azioni. Se non riusciamo a scegliere da soli, dovremmo farci aiutare da organismi quali la All
India Village Industries Association e la AISA che possono darci garanzie sui prodotti che vendono”. (in
Italia ad es. FAI LA COSA GIUSTA, http://falacosagiusta.terre.it/) “Per questo lo stesso khadi dovrebbe
essere acquistato solo nei negozi certificati.
SWADESHI. Se troviamo che è al di sopra delle nostre possibilità capire quello che sta dietro le nostre
transazioni, dovremo limitarle a un raggio che sia sotto il nostro controllo. È questa la base dello swadeshi
(indipendenza), che non è un mero slogan politico. Più accuratamente possiamo giudicare i risultati delle
nostre azioni e più consapevolmente siamo in grado di rispettare il nostro dovere. Se sul comprar un sari
(lungo tessuto coun cui si avvolgono il corpo le donne) non ci si fa guidare solo dalla varietà dei bei modelli
a buon prezzo fabbricati in Europa, ma si sceglie un cotone filato e tessuto a mano da donne dei villaggi,
pur un po’ più costoso e meno brillante, meno leggero da indossare, si tratterà di praticare l’autocontrollo
su di sé (SWARAJI), di accettare un sacrificio (tapasya). Ciò non significa necessariamente sedersi sui chiodi
o trafiggersi le guance. Nella vita di ogni giorno, quando lasciamo cadere una voglia o ci assumiamo una
limitazione per perseguire il principio della vita, accettiamo il sacrificio di sé (tapasya) nello stesso modo di
chi si è assunto il compito di rinunciare al mondo.
Il sacrificio è alla base di tutte le religioni. E assume varie forme quando ci impegniamo a soddisfare lo
spirito di swadeshi. Prendiamo il caso del sale industriale, raffinato, ben confezionato e il sale scuro pieno di
polvere e pietruzze, estratto dai nostri contadini. Occorre carattere per acquistare quest’ultimo. Scioglierlo
e pulirlo a casa; ma se lo facciamo ne faremo un alimento più sano di quello industriale.
Una donna medico statunitense compra sempre il gur (pezzi di zucchero di canna non raffinato) al bazar, lo fa
bollire, lo pulisce e lo tiene in forma liquida per i propri bambini; non perché ami i prodotti dei villaggi, ma
perché sa che si tratta di un prodotto ben più nutriente dello zucchero raffinato industriale.
Noi, più di lei, abbiamo molte buone ragioni per preferire i prodotti locali, influenzando il livello della
produzione. Lo facciamo?
I nostri contadini e artigiani, produttori di beni che le macchine non possono copiare, sono rimasti vittime di
una competizione iniqua, perché noi consumatori non li abbiamo protetti, preferendoli. Riusciremo a
salvarli oppure tradiremo i produttori agricoli e artigianali, consegnandoli i loro nemici? Vorrei spiegare
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