sbuca la televisione, ancora parzialmente discreta, nel riprendere documentaristicamente la seduta di prove. Il regista( la voce è dello stesso Fellini) inizia a interrogare tutti gli elementi dell’ orchestra a uno a uno. I musicisti scherzano, ridono, si fanno beffe a vicenda, ascoltano la partita di calcio in radio nell’ attesa di iniziare a suonare. Raccontano dell’ assoluta necessità dei propri strumenti all’ interno dell’ orchestra, come a convincersi che ciascuno di loro sia lì per fare la differenza. [ 3 ] Qualcuno, invece, si rifiuta di rispondere alle domande della troupe televisiva, forse troppo invadente, forse poco generosa nel retribuire gli sforzi altrui. Infatti, una piccola sommossa sembra fare capolino quando si scopre che l’ intervista è totalmente gratuita, e la presenza dei sindacati in sala non fa che accrescere il nervosismo fra gli astanti. I racconti continuano a susseguirsi uno alla volta, i personaggi felliniani sono come al solito delineati alla perfezione. L’ anziano clarinettista racconta delle sue performance davanti ad Arturo Toscanini, mentre gli altri lo canzonano colpendo la sua vanità. I trombettisti dialogano tra loro, una violinista si nasconde mentre beve un goccetto di whisky rimproverata dai suoi compagni. Ma ecco che arriva il direttore d’ orchestra: biondo, con un forte accento tedesco, inizia a bacchettare i musicisti invitandoli subito all’ ordine. Le prime prove non vanno, le note stonate che provengono dalla sala fanno notare il poco affiatamento presente, mentre il terribile direttore comincia a spazientirsi e a rimpiangere l’ ordine del passato. Dopo una lunga pausa( in cui il direttore viene intervistato nel suo camerino privato dalla televisione), l’ atmosfera che si respira in sala, colta da un improvviso black out, non è più recuperabile. La rivoluzione è ormai compiuta al ritmo di slogan populisti e sessantottini:“ La musica al potere, no al potere della musica!”. Il direttore è ormai sconfitto, deriso, messo alla gogna dai suoi musicisti. I muri sono pieni di scritte, l’ anarchia è totale. Qualcuno spara( in possesso di regolare porto d’ armi), qualcun altro fa finta di niente e continua ad ascoltare la radio( come lo Zio in Amarcord che continua a mangiare nonostante la confusione). Ma quando la situazione è ormai degenerata e i musicisti si ritrovano oramai gli uni contro gli altri, ecco che con fare paternalistico torna in scena il direttore d’ orchestra, pronto a ristabilire la pace nella sala e ricominciare a suonare. Tutto sembra andare per il meglio, l’ armonia e la musica tornano a percorrere il proprio corso. Ma la scena finale, carica d’ inquietudine e di presagi vecchi e nuovi, ci lascia con una devastante invettiva dello stesso maestro. Deluso ancora una volta dai“ suoi” protetti, tra la polvere e i cumuli di macerie, inizia a blaterare: prima in italiano poi in tedesco, con foga sempre maggiore. « La musica può salvare la vita, ma non il destino dell’ umanità ».( da Wikipedia). Possiamo dire che l’ armonia deve rimanere prigioniera del nulla, che è condannata e servire il nulla. Siccome la realtà si vendica della vita, deve vendicarsi di lei attraverso la fantasia. L’ attenzione che mostra il direttore dell’ orchestra può sembrare narcisismo morboso Il direttore difende il suo onore ponendolo sotto continua condizione. Così il regno di direttore – come ogni regno – è costruito sulle sue rovine. La musica è sempre la verità più potente. Il filosofo tedesco Schopenhauer ci parla della musica come linguaggio universale e come l’ unica arte che va oltre la materia, la sola che può esistere anche senza il mondo. Per esempio, scriveva Schopenhauer:“ La musica oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, lo
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