Cultura Oltre - 1^ numero - Gennaio 2018 rivista-cultura-oltre GENNAIO 2018 | страница 7

Busto di Zenone di Cizio, copia di epoca augustea (23 a.C. – 14 d.C. circa) di un originale greco (III secolo a.C.) conservata al Museo Archeologico di Napoli (inv. 6128)- Foto di Paolo Monti, 1969. Mentre, tuttavia, per Zenone di Cizio l’evidenza-assenso riguardava unicamente la coscienza interiore di sé stessi o autocoscienza (oikeiosis) nella quale soltanto può aversi conformità alla legge universale del Lògos, con Cleante essa diventa comprensiva (kataleptikè) anche dei piani ontologici della realtà esterna, perché il Lògos che muove il pensiero razionale dell’uomo è in fondo lo stesso situato a fondamento dell’universo. Come sostiene Stefano Arcella – «Un primo spunto di comparazione può prendere le mosse dalla dottrina buddhista dell’impermanenza che ha un rilievo centrale nell’insegnamento del Sakyamuni, comparandola con le riflessioni presenti negli Stoici romani quali Seneca, Epitteto e Marco Aurelio. L’esame comparato del rapporto desiderio-dolore e del tema del distacco nelle due correnti spirituali sarà soltanto consequenziale rispetto a quello sulla visione del mondo, poiché senza quest’ultima, tutta la linea d’ascesi e di condotta nei due sistemi non può avere una chiara ed esauriente spiegazione. Tale confronto consentirà di cogliere affinità e differenze che saranno poi inquadrate nei rispettivi contesti storico- culturali e nell’ambito delle diverse “impronte” che connotano la cultura indiana e quella romana. Il Sakyamuni, nel sermone di Benares – quello della “messa in moto della Ruota della Legge” – espose, quale frutto della sua illuminazione spirituale, le Quattro Nobili Verità e poi, in alcuni sermoni immediatamente successivi, la dottrina dell’impermanenza. Egli spiega che tutte le cose “sono sprovviste di un essere proprio” perché impermanenti e passano di stato in stato, incessantemente. L’impermanenza è strettamente connessa all’insostanzialità delle cose e dei fenomeni, ossia al loro essere sprovviste di un valore autonomo, al loro non poter essere considerate di per se stesse, essendo tutte il frutto di un concorso di fattori causali, mutando i quali mutano anche le cose. Questa “mancanza d’essere proprio” ( anatta ) della realtà obiettiva ( rupa , “forma”) e di quella soggettiva ( vinnana , “coscienza”) è uno dei capisaldi di tutta la 7