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LA PUBBLICITÀ E I COMPORTAMENTI ALIMENTARI DEI RAGAZZI
La pubblicità assume, all’interno della programmazione dedicata ai bambini e ai ragazzi, un ruolo essenziale. I tre motivi per cui i pubblicitari “usano” i giovanissimi in tv per veicolare i prodotti, costituiscono le principali regole del marketing. Essi si rivolgono infatti ai bambini perché sono: 1) immediati consumatori di prodotti; 2) mediatori di consumi con gli adulti di riferimento; 3) futuri consumatori. Inoltre la centralità dell’infanzia è importante pubblicitariamente perché ad essa si assimila, nell’immaginario collettivo, l’autenticità del prodotto, la sua bontà, la sua bellezza, ma soprattutto la sua sincerità. La pubblicità televisiva si pone come una sorta di scuola parallela che propone ai bambini un’educazione basata su valori condivisi3. Chi potrebbe discutere la bontà del bene, del sapere, della bellezza, chi potrebbe mettere in discussione l’efficacia di una comunicazione che mira a coinvolgere positivamente la salute e la conoscenza? La pubblicità alimentare fa leva proprio su tutti questi valori, esaltandoli attraverso dialoghi semplici, ma soprattutto trasmettendoli con atteggiamenti autorevoli. E’ questo il dato che emerge di più a livello europeo, mentre in Italia l’affettività ha la meglio su tutto. Si realizza, nella velocità di una storia (di quindici secondi) continuamente ripetuta, la trasmissione di un valore supremo: non tanto il diritto, ma il raggiungimento della felicità stessa. E ciò accade verticalmente, gerarchicamente perché sono i grandi che interagiscono tra loro o che si rivolgono ai piccoli; in qualche modo sono la rappresentazione di un’ “educazione” dell’infanzia da parte della società. Gli spot diventano così non soltanto un luogo di identificazione, ma una vera e propria paideia, un modo per generare un nuovo tipo di essere umano, provvedendo alla definizione di una identità, dando la possibilità di farlo per il tramite di qualcosa che si può acquisire molto facilmente: un cibo veloce, una barretta di cioccolata, una bibita. Gli adulti, che sono quasi sempre i protagonisti degli spot italiani ed europei, definiscono valori semplificando la realtà, fanno dentro lo schermo ciò che fanno nella vita. Inducono a mangiare facendo finta di non farlo e cioè usano parole, sguardi e gesti per far pensare agli altri che quel prodotto è un loro desiderio, fanno credere con la loro naturalezza che il loro personale piacere si trasforma nel desiderio individuale di chi guarda. La manipolazione dei bambini preda e target è assai efficace in questi contesti, i n cui l’atmosfera gradevole e, soprattutto, il valore dell’armonia familiare, che in Italia è egemone su tutti gli altri Paesi, costituiscono la prova provata del bene da assumere. Nel momento in cui i bambini vengono a contatto con questi personaggi e con le loro avventure, i simboli assumono un valore determinante per costruire la loro personalità e le relazioni con gli altri. La semplice trama della storia di uno spot, in cui tutto fila liscio come l’olio e tutto finisce bene, permette di vivere da vicino i protagonisti, ma soprattutto di formarsi un giudizio personale, in questo caso una voglia che compensa anche la solitudine nella quale si è il pomeriggio di fronte al video. Si impara così, attraverso gli spot della tv, a conoscere una realtà che non ha regole, ma convenzioni fatte di attimi felici. La distinzione tanto dibattuta tra la realtà e la finzione nella percezione infantile, qui viene completamene annullata perché non si fa appello a capacità cognitive sviluppate, né alla funzione televisiva di essere una finestra sul mondo, ma soltanto alla riproduzione di uno specchio deforme della vita quotidiana: al di là dello schermo tutto è felicità, al di qua spesso non è così, ma basta mangiare per essere felici. Anche perché, a differenza delle
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