Comunion Revista Comunion nº 42 | Page 6

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introdurre tutti gli uomini nella sua amicizia, come figli, “perché forte come la morte è l’amore… le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo” (Ct 8,6.7).

Vorrei segnalare sinteticamente alcuni elementi in cui si riconosce la comunità interculturale:

1. Riconoscimento delle diverse culture, capaci di interagire per arricchirsi reciprocamente, dando visibilità a tutte; non ci deve essere quella dominante che assorba tutte le altre minoritarie.

2. Rispetto delle differenze, non livellamento, promovendo quelle minoritarie, scommettendo sulla “convivialità delle differenze”.

3. Creare un clima di arricchimento reciproco, promovendo una sana interazione.

4. Ci vuole una scelta di campo radicale: mettere al centro la comunione, come “signum Trinitatis”, dove ogni persona è vista come dono di Dio da accogliere, amare e rispettare. In questo senso io collego l’interculturalità a ciò che Giovanni Paolo II, alla fine del Giubileo del 2000, chiamò: spiritualità di comunione, cioè: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti al terzo millennio, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo.

Che cosa significa questo in concreto? Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto.

Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2), e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita” (NMI 43).

Questa è la grande sfida, ogni giorno siamo invitati a riprendere il cammino, che si presenta arduo

e difficile, però contiamo sulla presenza del Signore in mezzo a noi.

Concludendo: L’interculturalità oltrepassa la tolleranza, presume il confronto e lo scambio tra le culture, pone il problema della cittadinanza e della partecipazione, esercita la legittima e reciproca critica, concepisce le differenze culturali come un valore. Un atteggiamento interculturale riconosce il conflitto e non lo ignora: lo gestisce in modo pacifico. Bisogna dialogare, il dialogo non è certamente un monologo, ammette a volte degli scontri duri, ma come le pietre dei ruscelli che man mano che si scontrano e scendono a valle, alla fine divengono levigate, così i fratelli e le sorelle nelle comunità, quando s’intraprende il cammino del dialogo e della comunione dopo gli inevitabili scontri per la ricerca della volontà di Dio, alla fine tutti divengono come le pietre preziose che adornano la casa di Dio, la Chiesa.

2013

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