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Cominciamo ad affrontare la questione storicamente più arcigna, ossia la cementificazione
“facile”: come mai in Italia si costruisce tanto, spesso malamente, quando la popolazione
è cresciuta negli ultimi 50 anni di soli 10 milioni di abitanti? Abbiamo le più belle città
del mondo, eppure le abbiamo abbruttite con mega-periferie invivibili, dai palazzoni con
qualità energetica-ambientali scadente: perché non riusciamo a riqualificare le città senza
consumare nuovo terreno?
“Con tutta probabilità la causa prima di un simile exploit dell’edilizia è da ricercarsi nella
rendita che il mattone ha sempre offerto, indifferente alle crisi energetiche, economiche
o sociali. Per un paese di non grandi mezzi finanziari è stato l’investimento familiare per
eccellenza, appena più insicuro dei titoli di Stato. Si pensava: intanto costruisco, ed
investo sul sicuro, poi venderò! Peraltro, ha corroborato tale tendenza una fiscalità non
particolarmente elevata, facilitando così le grandi costruzioni di periferia. Ragionamento
analogo, ma con potenza ben più grande, ha contraddistinto l’abusivismo edilizio che,
se ha consentito a molti di avere un tetto sulla testa, ha però devastato le zone costiere
e collinari. È poi da ricordare – e si tratta del secondo elemento – che la legislazione in
materia è stata poco rigorosa sia in fase progettuale, sia in quella riparatoria: il piano
regolatore più che ottimizzare e riqualificare il territorio già impiegato, ha invece legalizzato
sistematicamente l’uso di nuove porzioni di spazio e i condoni edilizi – rimedio populista
di tanti governi per fare facilmente cassa – hanno fatto il resto. Il risultato complessivo è
una cementificazione sfigurante il territorio nazionale, offeso nella sua bellezza e minato
nella sicurezza. È di queste settimane la notizia che su 700.000 frane che avvengono
in Europa, circa 500.000, più dei due terzi (!), hanno luogo in Italia. È un numero
impressionante che dovrebbe metterci tutti in allarme”.
Altra tematica “rovente”, su cui il rapporto si concentra a lungo, è quella dei rifiuti, sia in
fase di produzione che di gestione. In Europa le città ospitano il 50% della popolazione
e producono il 75% dei rifiuti, praticamente cumuli grandi come palazzine, quasi una
seconda città. Il primo passo per evitare simili scenari apocalittici è la contrazione nella
generazione del rifiuto: ci può spiegare in cosa consiste la prevenzione ecoefficiente?
“La prevenzione è fra le priorità delle politiche europee in materia e la normativa vigente
che disciplina la gestione dei rifiuti (dir. com. 98/2008) prevede, insieme al piano
gestionale vero e proprio, anche un insieme di condotte precauzionali volte a contrarre
l’impiego di materia, sin dalla fase di produzione, in modo da ridurre la generazione del
rifiuto: se si economizza materiale tanto in fase di assemblaggio che di imballaggio,
se ne dovrà poi scartare meno. Inoltre, quello comunque impiegato dovrà sempre più
essere destinabile al riuso e quindi suscettibile di ampia riparabilità, seguendo perciò
una filosofia opposta a quella del consumismo autoindotto dalla produzione, per il quale
scaduti gli anni di garanzia il bene si rompe e va ricomprato. Infine, non vanno dimenticate
le politiche di filiera: va ridotta la pratica della monodose pratica tipicissima nel caso
delle bibite – facilitando invece quelle del riutilizzo, sempre allo scopo di reimpiegare
il contenitore e limitare la sovrapproduzione. Adottando queste e altre pratiche, viene
stimolato il consumo consapevole ossia quello che calibra l’acquisto secondo gli effettivi
bisogni ed evita gli sprechi. La prevenzione efficiente costituisce la sintesi delle condotte,
tanto dal lato Offerta che da quello della Domanda, volte a prevenire l’accumulo del rifiuto
attraverso l’ottimizzazione dell’utilizzo del materiale di fabbricazione, pur mantenendo
adeguati gli standard di consumo”.