oppure se la prosecuzione del rapporto ha determinato una violazione di entrambe le parti ad
un vincolo legale 6 .
Un licenziamento può essere pertanto contrario alla legge o contenente vizi di forma secondo i
principi del diritto comune e può essere così definito:
illegittimo, nel caso di palese violazione da parte datoriale del contratto di lavoro (ad
esempio, la mancanza del preavviso);
discriminatorio, nel caso il dipendente abbia motivo di credere di essere stato oggetto di
un diverso trattamento, in palese violazione delle disposizioni vigenti sulla parità di
sesso, di razza e di religione;
forzoso, nel caso di conclusione del rapporto di lavoro (senza preavviso) dietro precisa
indicazione del datore di lavoro. Le normali circostanze per cui un impiegato ha la
facoltà di recedere rientrano nella fattispecie “dell’inadempimento fondamentale del
contratto” da parte datoriale.
Dal momento che la legge non prevede nulla di particolare in merito alla procedura da seguire
nel licenziamento, il datore deve attenersi alle istruzioni impartite dal giudice; va comunque
sottolineato che dal 2004 è in vigore una procedura articolata in tre fasi, a cui il datore deve
attenersi per i licenziamenti disciplinari.
Il licenziamento deve essere comunicato al lavoratore per iscritto, con l’indicazione dei motivi
(prima fase); in seguito il datore di lavoro convoca il lavoratore per discutere la situazione e
informarlo della possibilità di ricorrere alla decisione (seconda fase); segue quindi l’incontro
vero e proprio nel caso il dipendente voglia opporsi al licenziamento (terza fase).
Nulla è dovuto al lavoratore nel caso in cui l’interruzione del rapporto sia causata dalla sua
condotta, mentre invece qualora egli sia in esubero ha diritto ad un’indennità calcolata sul
periodo ininterrotto di lavoro presso l’impresa. In caso di fallimento da parte del datore di
lavoro, l’interruzione del rapporto di lavoro viene automaticamente considerata inefficace,
dando il diritto ad un risarcimento compensativo deciso dal giudice, compreso tra un minimo di
8.400 sterline (circa 9.850 euro) fino a un massimo di 56.800 sterline (circa 66.650 euro),
ulteriormente incrementabili del 50% in caso venga dimostrata l’incapacità del datore di lavoro
nell’adempiere ai requisiti formali richiesti dalla procedura di licenziamento. Va comunque
sottolineato che, nonostante l’ordine di reintegro, il datore di lavoro può rifiutarsi fornendo
un’ulteriore compensazione economica al lavoratore.
Emerge pertanto che il principale motivo di impugnazione del licenziamento riguarda la
motivazione del provvedimento stesso davanti al tribunale del lavoro, per poi eventualmente
ricorrere in appello ad un grado superiore di giudizio. L’azione deve essere inizialmente avviata
dal lavoratore (entro tre mesi dalla conclusione del rapporto di lavoro), che ha l’onere iniziale
di dimostrare che il licenziamento ha avuto luogo, mentre al datore di lavoro spetta di rilevare
la sussistenza di una giusta causa. Una volta che l’imprenditore abbia soddisfatto tale requisito
sarà il giudice a valutare se egli abbia agito in modo responsabile nell’adottare quella
decisione. Quindi, al datore di lavoro compete l’onere di avvalorare le motivazioni del
licenziamento, nello specifico la ragione principale (eventualmente legata alle capacità e
attitudini del lavoratore stesso, alla sua condotta, o all’eventuale ridondanza rispetto
all’organico), assieme alle motivazioni accessorie.
Il tribunale del lavoro emette una decisione sulla validità o meno del processo di licenziamento
impugnato dal lavoratore; va comunque sottolineato come, a partire dall’ottobre del 1994, la
conclusione del rapporto di lavoro viene considerata illegittima in caso di palese violazione
procedurale da parte datoriale.
Nel Paese esiste comunque la possibilità di ricorrere all’arbitrato, a seguito del quale le parti
rinunciano al diritto di ricorrere al Tribunale. Nelle controversie di lavoro competente è l’ACAS,
il Servizio di Consulenza, conciliazione e arbitrato del Regno Unito, costituito dal Dipartimento
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I licenziamenti in Italia e in Europa. Di Fernando Mariani, Martina Marmo e Matteo De Bonis. UIL, 2011
Benchmarking sulla flessibilità in uscita in Europa
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