Il licenziamento di un lavoratore prima della scadenza del contratto a tempo determinato è
possibile solo se il lavoratore raggiunge l'età pensionabile, fissata a 65 anni.
Esiste un periodo di prova, dopo l'assunzione, che ha durata variabile essendo proporzionale
alla durata del contratto a tempo determinato: se questo contratto è inferiore a due anni, il
periodo di prova è di un mese. Una deroga a questa regola è possibile solo se prevista nei
contratti collettivi di lavoro. Durante il periodo di prova si può licenziare senza preavviso e
senza il permesso né del centro per l'impiego né del giudice, se ciò è previsto dal contratto di
lavoro.
In conclusione possiamo dire che esistono due modalità per l’interruzione di un rapporto di
lavoro: per mutuo consenso o per licenziamento. L’interruzione del contratto di lavoro è
possibile solo se è stata concessa un’autorizzazione e se è stato dato un congruo preavviso. Il
ricorso al giudice, benché più costoso, permette al datore di lavoro di pervenire al
licenziamento in tempi più brevi. I lavoratori preferiscono la rescissione dovuta a un giudizio
rispetto al mutuo consenso, perché in questo caso possono ottenere un sussidio di
disoccupazione.
Nei Paesi Bassi è in discussione una riforma dei procedimenti relativi ai licenziamenti, che
dovrà andare in vigore nei prossimi anni. Questa riforma prevede il superamento della doppia
procedura di cui si è parlato in precedenza, poiché sarà introdotta una procedura unificata che
prevede che il datore di lavoro chieda un parere consultivo preventivo all’UWV. Quest’ultimo
non valuterà alcuna proposta di cessazione nel caso in cui il contratto di lavoro interessato
predetermini le procedure da adottare in caso di licenziamento. Dovrebbe essere abolita
l’opzione di rivolgersi a un tribunale, come alternativa all’autorizzazione dell’UWV. Ma resterà
comunque la facoltà del lavoratore di rivolgersi al giudice nel caso in cui sia stato posto in
essere un licenziamento. Il giudice può decidere un risarcimento equivalente a uno stipendio
per ogni anno di lavoro, senza superare comunque la cifra di 75.000 euro.
REGNO UNITO
Nel Regno Unito il diritto del lavoro, come qualsiasi altro ramo del diritto, è governato dalla
legge ma anche dalla cosiddetta “common law” (o diritto comune, caratterizzato da casi pratici
e dalla giurisprudenza in funzione di precedente), che nei Paesi anglosassoni costituisce le basi
della giurisprudenza.
Sulla base di questo modello di ordinamento giuridico, qualsiasi contratto può sciogliersi su
iniziativa di entrambe le parti dando opportuno preavviso; tuttavia, esiste una specifica
regolazione, introdotta nel 1996 con la Legge sui Diritti del Lavoro (Employment Rights Act), a
tutela della parte più debole del rapporto e che impedisce licenziamenti senza adeguate
ragioni. Per questo motivo è proibita qualsiasi forma di discriminazione (e di licenziamento) in
relazione al sesso, razza, disabilità, religione e orientamento politico. Le principali fonti del
diritto in questo senso risiedono, oltre al Dispositivo poc’anzi menzionato, nella Legge sulle
Relazioni Industriali e Sindacali del 1992 (Trade Union and Labour Relations Act), contenente
reti di salvaguardia contro i licenziamenti in settori specifici (ad esempio legati all’appartenenza
ad un organizzazione sindacale), nella Legge sull’Occupazione (Employment Act) del 2002 e i
successivi emendamenti del 2002 e del 2004.
Nel Regno Unito esistono quattro modalità di interruzione del rapporto di lavoro: il
licenziamento, le dimissioni indotte dalla parte datoriale, le dimissioni e l’accordo reciproco.
Con particolare riguardo al licenziamento, esso viene considerato legittimo se riguarda
elementi circa l’adeguatezza o la capacità del lavoratore di svolgere specifiche mansioni,
oppure quest’ultimo è in esubero o ha svolto i suoi compiti con cattiva e negligente condotta;
Benchmarking sulla flessibilità in uscita in Europa
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