La sanzione disciplinare è soggetta al criterio di proporzionalità, dovendo rispettare il rapporto
tra comportamento tenuto dal lavoratore e sanzione comminata.
La stessa deve essere considerata, inoltre, necessaria all’obiettivo perseguito; perché una
misura sia necessaria, la stessa deve essere pertinente/utile (ovvero presentare un nesso di
causalità con l’obiettivo da raggiungere) e indispensabile (nel senso di non poter raggiungere
lo stesso obiettivo con una sanzione più leggera e meno dannosa nei confronti del lavoratore).
I ricorsi possibili nei confronti delle sanzioni disciplinari sono di due tipi, interni o giudiziali. I
tempi e le procedure per il primo tipo di ricorso sono precisati dai regolamenti interni. In
quest’ottica il diritto alla difesa deve essere non solo previsto, ma è necessario che il datore di
lavoro provi il rispetto dello stesso.
Il secondo tipo di ricorso può essere esperito in tutti i casi in cui il primo si è esaurito. Infatti, il
tribunale del lavoro può in ogni caso statuire per quel che riguarda il rispetto delle procedure,
del diritto alla difesa e del rapporto di proporzionalità tra sanzione e comportamento del
lavoratore.
DANIMARCA
La Danimarca rappresenta il modello classico della flessicurezza, incentrato sui famosi tre
pilastri del così detto “triangolo d'oro”:
una legislazione del lavoro che tende ad una forte flessibilizzazione del mercato del
lavoro;
una protezione sociale molto spinta contro la disoccupazione, fondata sul razionale
meccanismo dell'assicurazione che è finanziato in parte dallo Stato e in parte dai
lavoratori iscritti, e che si giustappone all’assistenza sociale, gestita dalle municipalità,
nei casi in cui il lavoratore sia privo di una copertura assicurativa;
uno sviluppo elevato di politiche attive del lavoro indirizzate a favorire un veloce ed
efficiente reinserimento occupazionale di coloro che hanno perso il lavoro, anche
utilizzando la leva formativa.
In questa ottica la Danimarca affronta il tema dei licenziamenti inserendoli in un contesto in cui
appare prioritaria la ricollocazione occupazionale, piuttosto che il salvataggio dell'originario
posto di lavoro. Ecco dunque che, ferma restando la difesa del lavoratore dal licenziamento
discriminatorio e l'esigenza della giusta causa, l'obiettivo prioritario rimane quello di un equo
risarcimento economico, che prelude ad un reingresso nel mondo del lavoro da realizzare con
l'ausilio delle politiche attive del lavoro. Di conseguenza si tende ad una monetizzazione del
danno provocato dal licenziamento e contestualmente all'esistenza di modeste restrizioni alla
cessazione del rapporto di lavoro.
Il lavoratore danese è protetto dai licenziamenti dal Danish Salaried Employees Act, che copre
i colletti bianchi, o da vari contratti di lavoro che coprono sia colletti bianchi sia blu. Sulla base
di questa protezione i licenziamenti devono avere un giusta causa. Esistono poi particolari
categorie che godono di una protezione speciale: si tratta dei rappresentanti dei lavoratori e di
coloro che sono protetti dalla legge contro la discriminazione.
I manager sono esclusi dalla suddetta protezione e per loro valgono le disposizioni previste dal
loro contratto di lavoro.
In Danimarca non esistono procedure obbligatorie che vanno seguite in caso di licenziamento
di lavoratori, fatta eccezione per alcuni settori protetti per cui è prevista una regolamentazione
specifica. Accordi collettivi possono prevedere procedimenti riservati a singoli settori
occupazionali.
La legge non prevede alcun obbligo di notifica e di consultazione. D’altra parte, un certo
numero di contratti prevedono varie forme di notifica e di consultazione che devono essere
rispettate.
Benchmarking sulla flessibilità in uscita in Europa
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